Leader senza eredi

C’è un problema di fondo nella politica italiana che contribuisce a rendere il quadro sempre più confuso e complesso. Mi riferisco, nello specifico, al rapporto tra il partito e la sua reale base sociale. Se per molti decenni eravamo sostanzialmente abituati che la sinistra rappresentava i ceti popolari e la sua base sociale ed elettorale era rappresentata, in prevalenza, da coloro che provenivano da quei mondi vitali, da ormai un po’ di tempo le parti si sono invertite.

È appena sufficiente ricordare che da tempo si dà quasi per scontato che tutte le periferie delle grandi città italiane si riconoscono politicamente, in maggioranza come ovvio, nei partiti di centro destra. Dopo la fiammata populista e demagogica dei 5 stelle. In altre parole, i partiti di sinistra da quelle parti sono una minoranza. Significativa ma sempre minoranza. E si parla di periferie, cioè di ceti popolari e, in alcuni casi, di persone che convivono con enormi problemi di natura sociale ed economica. Al contempo, il principale partito di sinistra, cioè il Pd, è nettamente in maggioranza nelle zone centrali delle grandi città, le cosiddette “aree Ztl”. Un’area altrettanto importante ma abitata e vissuta da ceti sociali diversi. Cioè borghesi, alto borghesi e sostanzialmente benestanti. Perché tutto ciò? Per il semplice motivo che le parti si sono invertite. A livello politico, a livello culturale, a livello sociale e soprattutto a livello elettorale.

Certo, per molti decenni noi sapevamo che alcuni partiti politici e alcuni leader politici nazionali rappresentavano una specifica area sociale e si facevano carico, a livello politico, di tradurre le domande, le ansie e le esigenze di quei ceti sociali in un’iniziativa concreta nelle sedi legislative. Per fermarmi alla mia area politica e culturale tradizionale, la sinistra sociale di ispirazione cristiana, tutti sapevano che nella Dc Carlo Donat-Cattin era un punto di riferimento insostituibile di quei mondi e Franco Marini, nel Ppi, nella Margherita e, seppur in minor misura, nel Pd, era un interprete quasi naturale di quei mondi. Oggi, piaccia o non piaccia, il quadro è radicalmente mutato. E le parti, appunto, si sono invertite.

Se si parla, ad esempio, di “giustizia sociale”, di “difesa e promozione dei ceti popolari”, di “rappresentanza degli ultimi e dei soggetti più disagiati” e forse anche di “qualità della democrazia”, si percepisce la concreta difficoltà a capire quali siano i partiti, e le rispettive coalizioni, che intercettano e rappresentano a livello politico ed elettorale quelle realtà sociali, culturali, economiche e produttive. E proprio questa difficoltà, oggettiva e reale, impone e richiede da parte di coloro che intendono e vogliono continuare a rifarsi al magistero politico, culturale e sociale di alcuni grandi leader del passato, di mettere in campo una iniziativa che sia in grado di recuperare quel patrimonio in una rinnovata forza politica organizzata. Che prescinda dalle vecchie appartenenze e che prenda atto, definitivamente, che le tradizionali casacche politiche non sono più in grado di rappresentare mondi, pezzi di società e interessi sociali, economici e culturali che ormai sono approdati su altri lidi. Perché l’unica cosa che non si può più fare è pensare di riproporre il passato nelle dinamiche politiche contemporanee. Ormai il quadro è cambiato profondamente. E per tutti.

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