VERSO IL VOTO

Chiamparino in campo per Lo Russo: "Lui è competenza, Damilano fuffa"

L'ex sindaco blinda il vincitore delle primarie. "L'accordo con il M5s? Bisogna parlare ai loro elettori, non stringere patti con il ceto politico". Tornare nelle periferie proponendo una nuova stagione riformista

Gazebo deserti (o quasi), il Pd in affanno, una base che non si mobilita e un vincitore di misura. Questo il quadro, a dir poco desolante per il centrosinistra, che esce dalle primarie di Torino, in cui il favorito della vigilia Stefano Lo Russo è riuscito a prevalere per trecento voti, fermo al 37 per cento delle preferenze. E mentre c’è chi spara sul quartier generale, nel tentativo di rimettere in discussione l’esito delle consultazioni non manca chi, in modo discreto, prova a rimescolare le carte sondando una illustre riserva della Repubblica subalpina, Sergio Chiamparino, che al termine dei giornalieri dieci chilometri di corsa lungo il Po risponde alle domande dello Spiffero.  

Ieri sera a mezza voce il suo nome è tornato a circolare tra i delusi delle primarie...
«Io non cambio idea. Ci sono uomini e stagioni, e non uomini per tutte le stagioni. Inoltre, ammesso e non concesso che ci sia un salvatore della patria, già soltanto ipotizzare una mia candidatura significherebbe ammettere una sconfitta ed è un messaggio di estrema debolezza che daremmo come centrosinistra, oltreché una scelta sbagliata».

È pessimista?
«No, sono fiducioso. Innanzitutto perché la presenza di Paolo Damilano nell’altro fronte ci offre la possibilità di un confronto finalmente bipolare in cui si confronteranno la competenza contro la fuffa».

Quindi lei ritiene che Lo Russo sia legittimato da questa conta?
«Non vi sono dubbi, lui è il vincitore e mi pare lo abbiano riconosciuto tutti, a partire dagli altri partecipanti. Sia chiaro, non minimizzo affatto la scarsa affluenza registrata in questa tornata di primarie, ma neppure ritengo utile drammatizzare una situazione che ha molte cause, non solo locali. E poi intendiamoci, 11mila votanti non saranno una marea ma sono certamente meglio di quattro amici al bar davanti al Municipio o dei quattro parlamentari che s’incontrano a Roma e decidono».

Però anche all’interno del centrosinistra c’è chi sottolinea il flop delle primarie, secondo qualcuno addirittura ieri non ci sarebbe un vincitore netto.
«Questo è il momento in cui deve prevalere l’esprit republicain che, a mio parere, è lo spirito delle primarie. Ora dovrà emergere una squadra coesa pronta a una sfida durissima».

E Chiamparino avrà un ruolo in questa contesa?
«Io in campo ci sono già e ci resterò con i tempi e le modalità che il candidato e la coalizione decideranno. Non mi tirerò indietro, fino al giorno delle urne».

Appunto, da oggi per il centrosinistra inizia la lunga cavalcata verso le elezioni, quelle vere. Da dove partire?
«Innanzitutto penso sia giunto il momento di ribaltare la logica secondo cui gli uffici di comunicazione prevalgono sugli uffici di progettazione. Torniamo a ragionare di programmi e valori e a spiegare la nostra idea di città, facciamo emergere la differenza tra Lo Russo e Damilano, la competenza versus il glamour».  

Il rapporto con il Movimento 5 stelle resta una delle questioni irrisolte. Questa mattina Chiara Appendino ha chiuso a un accordo al ballottaggio, Lo Russo ha risposto che nessuno è padrone dei voti e che gli elettori sapranno decidere liberamente. Lei cosa ne pensa?
«Guardi, nel 2001, esattamente vent’anni fa, io e Roberto Rosso eravamo pari al 44 per cento dopo il primo turno e io rifiutai l’apparentamento con Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti che aveva proposto Marilde Provera. Il ballottaggio lo vinsi perché parlai a quegli elettori anziché stringere accordi con il ceto politico».

Era l’anno dei manifesti con Chiamparino candidato e il figlio Tommaso.
«Certo e quanti mi criticarono per quella foto con lui, un po’ smandrappato e con i capelli lunghi. E invece quella immagine rappresentava plasticamente il messaggio che volevo trasmettere ai torinesi. Mentre Rosso scattava foto in doppiopetto con Silvio Berlusconi io mi rivolgevo ai miei concittadini e assieme a loro scommettevo sul futuro della nostra città: “Una città dove vale la pena crescere dei figli”, secondo la celebre frase che il compianto Domenico Carpanini prese a presito da García Márquez».

Quella stagione intanto si è chiusa cinque anni fa, con la sconfitta di Piero Fassino, e il centrosinistra fatica ad aprirne una nuova.
«Damilano inevitabilmente ci costringe a fare i conti con una nuova stagione di riformismo. Con una città che deve tornare a fornire opportunità culturali, professionali, di formazione e di riscatto sociale. E per questo condivido l’impostazione di Lo Russo, di far ruotare il programma attorno al tema del lavoro, declinandolo in modo moderno e innovativo. Al punto che oggi mi sembrano più che mai attuali le questioni che già negli anni Settanta e Ottanta vennero sollevate da Giorgio Ruffolo: non servono soluzioni assistenzialistiche e approcci paternalistici, ma occasioni di rilancio, attraverso investimenti che producano nuova occupazione. La risposta non può essere solo reddito di cittadinanza e bonus né gli abbagli del più tramezzini per tutti».

Una questione particolarmente sentita soprattutto in periferia, dove il centrosinistra non riesce più a mobilitare quella che una volta era la sua base elettorale.
«Il fatto che Damilano si insedii nellla Ztl, che frequenti i ristoranti glamour, alcuni persino di sua proprietà, ci consente di tornare a parlare con le altre zone della città, a npartire da quelle che avvertono maggiori difficoltà. Mi verrebbe da dire, citando uno dei massimi pensatori della sinistra, il mitico barista di Ceccano interpretato da un giovane Manfredi, fusse ca fusse la vorta bbona!. Meno testimonial e più pragmatismo, meno calciatori e più universitari. Lo Russo dice che i suoi vip sono i giovani ed è questa la direzione giusta. E poi chi meglio di lui può incarnare valori quali il merito, la competenza, la voglia di scommettere sulle proprie capacità? Ecco, forse è ora di lasciar perdere gli aperitivi sul Po e di mangiare qualche pizza in più in Barriera».

Lo Russo, insomma, è il candidato giusto.
«In questa politica del dì per dì, che quasi fosse una catena di franchising offre prodotti serializzati, marketizzati, Stefano può contare su un patrimonio amministrativo così difficile da accumulare quanto facile da dilapidare, ma prezioso, direi indispensabile per governare una città».

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