Il tifo non fa bene all'economia

Con una certa frequenza escono notizie di imprese che non riescono a trovare persone da assumere e puntualmente si scatenano le opposte tifoserie di chi accusa le imprese di voler pagare poco, ottenendo il risultato di non trovare personale e di chi accusa gli italiani e in particolare i giovani di non voler lavorare. Una prima considerazione riguarda l'approfondimento di queste notizie che spesso non corrispondono a quello che finisce sui media. Emblematico il caso del pasticciere milanese che non trovava personale per poi scoprire che aveva semplicemente affisso un pezzo di carta sul vetro della porta, quando ormai quasi tutte le ricerche di lavoro avvengono online. Dopo la pubblicazione della notizia il pasticciere fu invaso dai curricula e i più maliziosi hanno pensato che tutta la sceneggiata era stata fatta apposta per risparmiare il costo dell'annuncio della ricerca di personale. Probabilmente più semplicemente si è trattato di ignoranza e pigrizia da parte del pasticciere. Premesso questo, è evidente che il tifo non serve a niente e accusare le aziende di spilorceria e gli italiani di pigrizia è inutile. I casi reali sono abbastanza vari e legati a molteplici fattori.

Di recente una società alimentare ha tirato fuori un comunicato in cui dichiarava che il personale si trova a condizione di pagare e al solito si sono scatenati i tifosi. È piuttosto evidente che se sei disposto a spendere prima o poi le persone da assumere le trovi ed è una banalissima legge di mercato: quando una merce si fa rara, in questo caso il lavoro, si dovrebbe essere disposti a pagare di più. Se non è disposti a pagare di più una merce rara è piuttosto improbabile trovarla. Ovviamente questa osservazione cozza con l’evidenza della diffusa disoccupazione esistente in Italia e su questa considerazione si scatenano i tifosi degli italiani pigri. Il grosso problema è la difficoltà di incontro fra domanda e offerta di lavoro legata a una certa arretratezza del sistema economico italiano e a una scarsa conoscenza del mondo del lavoro da parte delle famiglie italiane ancora legate a idee superate risalenti ad un passato contadino.

Da un lato il progresso tecnologico impone alle aziende un continuo processo di aggiornamento tecnologico e perciò in alcuni settori è pressoché impossibile trovare personale specializzato perché semplicemente non può esistere. In questo caso le aziende non possono far altro che formare il personale come già succede per un certo numero di aziende. In questi casi non si può certo accusare la scuola di essere lontana dal mondo del lavoro. La scuola sconta una certa distanza dal mondo del lavoro che si dovrebbe cercare di ridurre e ci si riferisce agli indirizzi professionalizzanti, ma è inevitabile che tutte le esigenze formative delle aziende non possano ricadere sulla scuola. Se per esempio, una azienda si decide a comprare un macchinario innovativo dal Giappone come può pensare di trovare personale specializzato o che la scuola possa formarlo? Alcuni hanno affermato che le aziende non pagano di più perché non riescono a farlo stante le condizioni di mercato che non permetterebbero di vendere a prezzi più alti. Sicuramente molte aziende si trovano in questa situazione, ma non c’è da farne una questione ideologica. In queste circostanze non si può che accettare che le aziende in questione rimangano senza personale e smettano di crescere. Se esistono dei limiti oggettivi bisogna prenderne atto e cercare soluzioni senza raccontare che sono gli italiani che non vogliono lavorare. Per evitare queste situazioni si può pensare ad una riduzione delle tasse e soprattutto ad una semplificazione burocratica, ma sono da evitare incentivi alle assunzioni, utili nel breve termine, ma poco efficienti nel medio e lungo termine perché permettono ad aziende inefficienti di sopravvivere a scapito di quelle efficienti e con gravi distorsioni nel mercato del lavoro. Si rischia che si assuma solo chi possiede i requisiti per rientrare negli incentivi alle assunzioni senza esaminarne le capacità effettive e tutti gli altri rimangano a spasso.

Un’altra considerazione da fare sulla pigrizia è molto semplice. Se qualcuno per sua fortuna non ha necessità di lavorare o quantomeno può rifiutare lavoro poco pagati perché condannarlo? È una scelta razionale come un’altra, forse moralmente non apprezzabile, ma sicuramente rientrante nella libertà di scelta dell’individuo. Non crediamo che di questi casi ce ne siano poi tanti. Sicuramente qualche giovane alle prime armi che non ha una famiglia sulle spalle potrà lasciare un lavoro che non piace e rimanere a casa alla ricerca di qualcosa di meglio, ma anche qui una scelta perfettamente razionale difficilmente condannabile. Il rapporto di lavoro è un contratto e come tale prevede uno scambio volontario tra le due parti, se uno delle due parti non è d’accordo non si può concludere. Non si possono obbligare le aziende ad assumere, ma non si possono nemmeno costringere le persone a lavorare se non vogliono. Certo, se poi uno Stato incentiva i comportamenti opportunistici, come quello che preferiscono prendere il reddito di cittadinanza o altra forma di sussidio piuttosto che lavorare, non ci si può aspettare che la gente non ne approfitti. E come dargli torto? Essere pagati per non lavorare non è meraviglioso?

“Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non esser sorpreso se produci disoccupazione”. (Milton Friedman)

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