Poletto "grande elettore" ma non vota Olivero. E il vice di Nosiglia fa le valigie
Eusebio Episcopo 07:00 Domenica 20 Giugno 2021L'ultimo cardinale di Torino è ancora molto influente in Vaticano e sta giocando un ruolo centrale (e discreto) nella scelta del prossimo vescovo. Ma non spinge l'attuale titolare di Pinerolo. Il vicario generale mons. Danna diventerà parroco di Sant'Anna
In questa convulsa vigilia di attesa del nuovo arcivescovo di Torino, non sono pochi, preti e laici, che volgono lo sguardo alla collina di Testona dove, in una villa voluta dal suo attuale inquilino perché diventasse la residenza degli emeriti, abita l’eminenza del cardinale Severino Poletto, l’ultimo arcivescovo taurinense ad essere insignito della porpora romana. In questa partita decisiva, egli appare un po’ come il convitato di pietra. Sempre più curvo e malandato di salute, l’ottantottenne cardinale conserva però una mente lucida e un pensiero ancora vivace. Grande elettore di Papa Francesco di cui gode la stima (qualche anno fa il pontefice lo ha citato in un incontro di vescovi – Poletto presente – come un esempio di vita per tutti gli emeriti), il cardinale di origini venete è uno dei pochi che possa alzare il telefono e farsi passare direttamente l’inquilino di Santa Marta. In un passato non molto lontano, grazie alle sue aderenze in Vaticano con uomini collocati in posti chiave, Poletto è stato decisivo nelle nomine di un buon numero di vescovi piemontesi e anche – va detto – dei veti posti alle ambizioni di alcuni aspiranti tali in un campo, quello delle carriere episcopali, mai in crisi di vocazioni.
In questo, forse superato soltanto dal quasi centenario ex vescovo di Ivrea di origini emiliane, monsignor Luigi Bettazzi, un altro dei miti viventi del cattolicesimo progressista d’antan, legato alla cordata dell’influente cardinale romagnolo Achille Silvestrini, mancato nel 2019, diplomatico di lungo corso ma, soprattutto, esponente della cosiddetta “mafia di S. Gallo”. Come riferisce il biografo di Ratzinger, Peteer Sewald, il “vescovo rosso” Bettazzi, previde con mesi di anticipo le dimissioni e l’ascesa al Soglio di Bergoglio. In precedenza aveva però disseminato le diocesi del Piemonte dei suoi preti canavesani: Bernardetto a Susa, Giachetti e Debernardi a Pinerolo e infine Arrigo Miglio a Iglesias e poi suo successore a Ivrea.
Severino Poletto, del clero di Casale Monferrato, dove la sua famiglia era emigrata dal Veneto, viene ordinato sacerdote nel 1957 seguendo poi la trafila consueta, viceparroco e poi parroco, negli anni turbolenti del post Concilio in una diocesi che subì un rilevante numero di abbandoni dal ministero, un salasso dal quale non si è mai più ripresa e dove il vescovo di allora, monsignor Giuseppe Angrisani, apertamente contestato, si dimise amareggiato. Risale a quel periodo la notizia (o la leggenda?) – benignamente fatta filtrare dall’interessato – di un Poletto prete operaio per sei mesi in un’azienda locale impiegato come magazziniere. Cambiato il vento, nel 1980, auspice il conterraneo cardinale Sebastiano Baggio, potentissimo prefetto della congregazione dei vescovi ai tempi di Giovanni Paolo II, diventa vescovo della piccola diocesi di Fossano e vi rimane fino al 1989, quando viene unita in persona episcopi a Cuneo. Traslato ad Asti, diventa il pupillo dell’astigiano cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano. Fece epoca l’omelia di Poletto alla Messa esequiale – diventate poi la sua specialità – di Alessandro Sodano, fratello del cardinale, arrestato in una inchiesta per presunte irregolarità e poi assolto con gli altri imputati, dove ammonì i giudici ad essere più prudenti e a rispettare la verità. Infuriato, il procuratore Sebastiano Sorbello, emise un comunicato durissimo in cui stigmatizzava il vescovo che «stimolato dalla presenza ai funerali di alte autorità civili e militari, smarrendo una netta e chiara distinzione tra trascendentale e temporale, anziché svolgere la missione sacerdotale di invocare la divina misericordia per le umane debolezze degli estinti, ha incredibilmente interferito nelle vicende giudiziarie ancora non concluse», ricordando poi come lo stesso Poletto avesse criticato la Procura in occasione del funerale dell’ex ministro Giovanni Goria, anch’egli inquisito per lo scandalo dell’ospedale di Asti.
Provvisto di tali benemerenze, Poletto non poteva che approdare a Torino, succedendo nel 1999 al mai amato dal clero progressista, cardinale Giovanni Saldarini, dove, attentissimo agli equilibri ecclesiali, mise atto una frenetica attività pastorale favorendo l’ala “boariniana” del clero e creandogli, per tenerlo a bada, il polo teologico di S. Lorenzo, senza peraltro, diffidentissimo degli intellettuali, concedergli troppo, dando incarichi e visibilità all’ala pellegriniana, senza aderirvi mai fino in fondo e convintamente, ma sapendo che a Torino, per durare, occorre avere pas d’ennemis a gauche. Austero nei costumi ma incline al fasto, scarso di studi ma abilissimo politico, seppe destreggiarsi abilmente in una diocesi difficile e insidiosa. La sua omelia nel 2003 ai funerali di Gianni Agnelli, al quale con insistente premura amministrò gli ultimi Sacramenti, fu una vera beatificazione e nulla ebbero a eccepire in proposito gli ormai normalizzati preti operai. Per il concistoro durante il quale fu creato cardinale mobilitò tutta la diocesi e offrì un sontuoso ricevimento nel braccio di Carlo Magno della basilica di San Pietro.
Famoso a Roma per la caparbietà con cui riusciva a imporre le sue decisioni e a ricevere pronta udienza nei Sacri Palazzi, creò (anche quando era ormai emerito) uno stuolo di vescovi. Unico arcivescovo di Torino – cosa mai avvenuta prima né dopo – a ottenere due ausiliari (Guido Fiandino e Giacomo Lanzetti), sono del novero Piero Del Bosco a Cuneo, Marco Brunetti ad Alba, Marco Arnolfo a Vercelli, Francesco Ravinale ad Asti. Pochi sanno però che Severino Poletto è anche colui che nel 1987, quando era vescovo di Fossano, impose le mani, creandolo sacerdote, su don Desiderio Olivero, attuale vescovo di Pinerolo, in predicato per Torino. A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che Poletto si aggiunga ai già numerosi “sponsor” di monsignor Derio, ma si sbaglierebbe. Il profilo di vescovo di quest’ultimo è quanto di più lontano vi sia nel modello di pastore che l’anziano cardinale predilige. Forse l’unica cosa che li accomuna è il presenzialismo e l’attivismo. Infatti, i presuli “creati” da Poletto sono generalmente poco appariscenti, senza gradi accademici, di solida dottrina, anche se non conservatori, impegnati diuturnamente nella pastorale e nel sociale ma senza ideologismi.
Per chi si muoverà allora – se lo farà – l’emerito arcivescovo nell’indicare il suo secondo successore? Sul primo non ebbe voce, in quanto Cesare Nosiglia fu scelto direttamente dall’allora presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, di cui era stretto collaboratore. Marco Arnolfo, Piero Del Bosco e Marco Brunetti, sono generalmente stimati dai preti fuori dalle correnti, considerati dai pellegriniani (ma per nulla amati dai “boariniani”) e hanno sicuramente delle chance. Scontano però il fatto di essere del clero di Torino e quindi di conoscere molto bene le biografie di molti preti diocesani. Questo può essere un vantaggio, ma anche rappresentare un handicap.
Per l’imminente festa del patrono della diocesi, San Giovanni Battista, si annunciano nomine e trasferimenti. Da indiscrezioni, potrebbero essere interessate le parrocchie di Borgaro, Moncalieri, Volpiano e Trofarello. Sembra poi che dal 1° settembre il vicario generale monsignor Valter Danna, tramontata ogni prospettiva episcopale, venga nominato parroco della parrocchia di Sant’Anna, poiché a San Secondo il decano dei parroci torinesi, don Mario Foradini, non ha alcuna intenzione di lasciare. Si conferma così la preferenza del clero progressista – si veda mons. Fiandino alla Crocetta, mons. Mauro Rivella a Santa Rita e don Paolo Fini alla Gran Madre – per le parrocchie della borghesia benestante. A quelle dei poveri meglio mandarci i conservatori, così si educano.
Com’è noto, la basilica di Superga rischia la chiusura in quanto da tempo se ne sono andati i Servi di Maria, religiosi ormai quasi estinti e lo Stato non ha risorse per mantenere aperta l’imponente complesso, simbolo della città. Si sarebbero fatti vivi i Legionari di Cristo, ordine fiorente di stampo tradizionale che, superato il commissariamento dovuto alle malefatte del fondatore Marcial Maciel Degollado, annovera fra i suoi membri il potente cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del dicastero per i laici e Camerlengo di Santa Romana Chiesa. I Legionari si sarebbe detti disponibili ad approdare sul colle dove riposa il Grande Torino. La parte pubblica naturalmente è d’accordo ma il vescovo? Vedere in diocesi, sia pure a Superga, giovani preti che girano in talare e si dedicano alla preghiera, alla celebrazione della Messa e all’amministrazione dei Sacramenti, pare non entusiasmare molto il sinedrio. Potrebbero attirare fedeli, specialmente giovani, ed essere contagiosi per un ritorno alla pratica religiosa. Meglio affidare la basilica a qualche strampalata comunità diocesana moderna, oppure ci pensi lo Stato.
Intanto, sta suscitando grande scalpore nelle curie piemontesi l’articolo apparso il 14 giugno su La Repubblica – quotidiano di riferimento del clero torinese – in cui Alberto Melloni, il laico cattolico progressista per eccellenza, principe della scuola storica di Bologna teorizzatrice del Concilio come rottura e sodale da sempre di Enzo Bianchi, apologeta fin da subito di Francesco visto come l’anti Benedetto, ha inanellato nei confronti del Papa una serie di critiche senza precedenti. Leggere certi taglienti giudizi su Bergoglio e sul suo stile autoritario di governo da parte dei tradizionalisti era cosa normale, ma vederli fatti propri da Melloni ha avuto l’effetto di una bomba. Cosa starà mai succedendo? Si prepara dunque, come sostiene Melloni – per stare a Lc 5 – una tempesta?