I costi della transizione elettrica

Quasi 95 milioni di auto sono state immatricolate nel mondo nel 2018 e, stando alle vendite dei primi cinque mesi, nel 2021 potremmo averne 60/70 milioni. Entro meno di vent’anni si prevede che la stragrande maggioranza dei veicoli siano elettrici o elettrificati. Ma abbiamo le potenzialità, in fatto di materie prime, per realizzare le batterie, considerando che la maggior parte sono estratte nei paesi del terzo e quarto mondo e che le maggiori imprese che controllano il mercato sono cinesi o comunque del sud est asiatico? L’elettrificazione della mobilità è già, di fatto, un “quasi” monopolio asiatico e quanto sarà effettivamente sostenibile?

Trascuriamo per un istante i costi dell’auto elettrica che presumo non diventerà accessibile a livelli di massa per un periodo ancora non breve, ma consideriamo le 735mila vetture immatricolate tra gennaio e maggio 2021 in Italia e immaginiamo l’impatto di una elettrificazione spinta e accelerata.

Il problema non sono le paline per la ricarica ma sicuramente il primo problema è la durata della ricarica e l’ancora bassa autonomia con tempi di ricarica relativamente lunghi (4-8 ore da normale presa di corrente; 20-30 minuti da colonnina dedicata a ricarica rapida). Il problema sono i costi e i lavori infrastrutturali per raggiungere ogni palina nella sua ubicazione lungo la rete autostradale e nelle abitazioni private.

L’altra questione che non mi pare sia sufficientemente chiarita e precisata è la quantità di energia elettrica necessaria per ricaricare contemporaneamente alcuni milioni di vetture fra qualche anno, solo in Italia.

La rete elettrica capace di tale portata? Rischi di black-out considerando che già ci approvvigioniamo di energia elettrica all’estero, dai bacini francesi? Dovremo fare ricorso a fonti alternative? Ciò significa pale eoliche sui crinali ventosi, campi di pannelli fotovoltaici a deturpare i paesaggi di pianura ed erodere terreno all’agricoltura e alle colture. Si sta forse riconsiderando o si dovrà riconsiderare il nucleare? Anche di fronte alle energie alternative, quanti comitati “no questo, no quell’altro” sorgeranno tra coloro che predicano l’abbattimento dell’inquinamento da auto?

Per ora più che produzioni di quantità nell’industria automotive e non solo, assistiamo alla compravendita di GigaWatt, all’acquisizione di start up di ricerca, alla progettazione e prototipia di prodotti elettrici, alla messa sul mercato di auto di alta gamma elettrificate che consentono sconti sulla riduzione di Co2 alle case automobilistiche. Certamente c’è anche una crescita del mercato con segni “più” molto consistenti ma sappiamo tutti che i segni “più” consistenti si hanno quando i numeri reali sono piccoli.

Non serve una “rivoluzione” ma propriamente una “transizione ecologica” che gradualmente senza creare problemi al mercato e all’economia, all’occupazione, e alla capacità di sviluppare prodotti nuovi e sempre meno inquinanti alle aziende costruttrici si passi dal petrolio a tutto ciò che è meno inquinante e nella fase intermedia, di transizione appunto, assume grande importanza l’abbinata endotermico-elettrico  come elemento tecnologico che aiuti ad affinare l’elettrico puro, ridurne i costi sia del prodotto finito, sia per affinare il ciclo produttivo completo della batteria.

Avere a Torino la Gigafactory (Giga intesi come unità di misura elettrica e non come grande dimensione della fabbrica e occupati) significa creare una filiera completa dell’elettrico (ciclo completo della batteria: progettazione, produzione, recupero, riciclo, reimmissione sul mercato, abbinata al prodotto auto finito)  sul nostro territorio che guardi al futuro preservando la fase di transizione tecnologica e di mercato. Per fare questo serve più coraggio, più visione e meno populismo elettorale. Quindi è una battaglia persa in partenza?

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