Trasparenza "è" democrazia

“Trasparenza” e “partecipazione” sono state le parole più utilizzate sul finire degli anni ’90 da chiunque invocasse un Paese migliore, una nazione affidata a istituzioni credibili. I grandi cortei no-global scendevano in piazza per invocare il rispetto da parte dei governi mondiali nei riguardi delle popolazioni di tutto il mondo, nonché un potere politico in grado di sottrarsi alle grandi lobby economiche e finanziarie, appellandosi alla democrazia partecipata.

I temi del movimento internazionale antiglobalizzazione sono sopravvissuti ai cambiamenti culturali che hanno scosso l’Europa in quest’ultimo decennio, una deriva del continente verso la xenofobia e un crescente individualismo, diventando infatti oggi la parola d’ordine della moltitudine di giovani che si ritrova ogni venerdì per difendere il proprio futuro insieme a quello del pianeta (Friday for future).

Un sogno, un’utopia che unisce quindi diverse generazioni, connettendo in particolar modo coloro che si mobilitano per contrastare un modello democratico legato mani e piedi dagli interessi della finanza e dei grandi cartelli monopolistici. Funi robuste bloccano, rendendoli inoffensivi, i parlamentari mentre bavagli fissati stretti alla bocca condizionano l’informazione sino a obbligarla al silenzio.

Il sistema sovente non può fare altro che piegarsi al volere del denaro, e degli amministratori delegati che garantiscono posti di lavoro tramite le proprie aziende, sino a diventare complice più o meno consapevole degli speculatori in borsa. Sudditanza incompatibile con qualsiasi tipo di sovranità popolare (la medesima garantita dalla nostra Costituzione) e quindi inconciliabile con pratiche di buona amministrazione imperniate sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Trasparenza è accessibilità totale, assoluta, ai dati e ai documenti in possesso della pubblica amministrazione, nonché facoltà per chiunque di verificare la procedura da cui si è manifestata la volontà delle istituzioni e degli uffici pubblici. Qualsiasi atto curato da consiglieri, giunte comunali e ministeri, dovrebbe essere a disposizione di tutti i cittadini. Non è concepibile che in una Repubblica parlamentare si faccia mistero di quanto spende il Pubblico e dei motivi per cui si finanzi un progetto anziché un altro.

Mettere tutto a conoscenza degli elettori comporta sicuramente conseguenze in capo al manovratore delle leve del potere. Spiegare alla collettività le ragioni in base alle quali vengono sostenuti alcuni progetti, oppure dati in concessione a terzi beni immobili comunali e circoscrizionali, collima con la piena tutela degli interessi collettivi.

Solitamente la partecipazione va di pari passo con la conoscenza: maggiori sono i dati messi a disposizione dei propri elettori e più grandi sono le possibilità di un coinvolgimento dei cittadini nelle scelte riguardanti il territorio. Tante teste informate diventano l’ostacolo insormontabile a qualsiasi sogno di regime al servizio del capitale finanziario.

Del resto, chi non ha nulla da nascondere (poiché ha operato bene nel nome della comunità) non teme sia data pubblicità agli atti che ha redatto, neppure ha paura di mettere a disposizione di chiunque il bilancio. Poter esternare un’opinione, affermare perplessità in merito a un contributo, ha come premessa l’accesso diretto agli atti, la caduta di qualsiasi interesse ad esclusione di quello rivolto al bene comune.

“Libertà è partecipazione”, cantava l’indimenticabile Giorgio Gaber: la democrazia diretta cresce solamente grazie al sapere. I segreti sono utili alla preservazione del potere costituito, del regime, e rendono la moltitudine dei cittadini schiava di pochi “padroni del vapore”.

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