Cultura politica per nuove classi dirigenti

C’è poco da fare. Ci sono solo due modi concreti per rialzare il prestigio e l’autorevolezza politica nel nostro Paese dopo la sbornia populista maturata con la vittoria straripante del grillismo alle elezioni del 2018. Da un lato il ritorno delle tradizionali culture politiche e, dall’altro, avere una qualificata e rappresentativa classe dirigente. A livello locale come a livello nazionale. E, detto sinceramente, sono due condizioni essenziali e costitutive che oggi si fanno sempre più largo nel dibattito politico italiano. Se sulla classe dirigente il tema è strettamente legato al ritorno dei partiti organizzati, radicati nel territorio e che respingono alla radice il dogma del grillismo dell’”uno vale uno”, è indubbio che sulle culture politiche il tema è un po’ più complesso. Si tratta, infatti, di ricreare le basi culturali che giustificano e legittimano la presenza stessa dei partiti. Certo, finché durano i partiti personali, i partiti del capo, i cartelli elettorali funzionali alle sole elezioni, è del tutto evidente che il ritorno delle culture politiche si allontana nel tempo. Eppure, con il grande ritorno della cosiddetta competenza – prevalentemente tecnocratica – del governo Draghi e il sostanziale commissariamento della “politica dei partiti”, si fa strada l’esigenza di un rinnovato protagonismo dei partiti. Per dirla in termini più semplici e chiari, i partiti potranno di nuovo dettare l’agenda della politica italiana senza ricorrere all’esterno o alle persone che hanno una autorevolezza tale da essere percepiti, a ragione, come i “salvatori della patria”. Ma per centrare questo obiettivo è indispensabile essere anche portatori di una visione della società che si accompagna sempre ad una precisa cultura politica con una classe dirigente espressione di quel filone ideale.

Ora, senza farsi troppe illusioni, tutti sappiamo che i partiti del passato sono ormai storicamente archiviati e non torneranno più. Al di là degli ultimi e comprensibili nostalgici. Ma è del tutto evidente, dopo questi anni dominati e caratterizzati dal “nulla della politica”, per dirla con Mino Martinazzoli, che non possiamo neanche rassegnarci ad assistere alla proliferazione di partiti personali – privi di qualsiasi riferimento culturale come ovvio e scontato se non quello legato alla simpatia e alla popolarità effimera e precaria del suo “titolare” – che durano lo spazio di un mattino. Perché rischiano di franare alla prima inchiesta giudiziaria – fondata o meno che sia – o allo scarso consenso ottenuto in una elezione. Locale o nazionale fa ormai poca differenza.

Ecco perché dopo questa importante consultazione amministrativa, segnata purtroppo da un girone finale poco edificante e costruttivo, in vista delle ormai prossime elezioni politiche, si rende sempre più necessario ed indispensabile riqualificare la politica attraverso il recupero e la riattualizzazione di quei due ingredienti che un vecchio statista e leader politico come Carlo Donat-Cattin indicava come i pilastri fondamentali per una buona politica. E cioè, “culture politiche riconoscibili e radicate nella storia e classi dirigenti autorevoli e qualificate”. Parole valide ieri come oggi e, probabilmente, per sempre.

print_icon