In politica torni la passione

“Occorre battere le destre”, “Non lasciamo assessorati comunali nelle mani della destra estrema”. Sono frasi che ascoltiamo rivolgere agli elettori di sinistra in occasione di ogni ballottaggio (tranne nel 2016, quando si diceva “Mica vorrai fare vincere Grillo?”).

I torinesi periodicamente diventano oggetto di appelli che fanno leva sui sentimenti forti, sui valori fondanti della loro città: l’orgoglio operaio, la fabbrica, la lotta a difesa del lavoro, Torino culla del socialismo nonché dell’antifascismo attivo.

Evocare alcune parole d’ordine (unificanti il variegato universo della sinistra) si traduce quasi sempre nel senso di colpa di chi vacilla sulla scelta da farsi, votare o astenersi, e soprattutto nell’ossessiva ricerca della linea immaginaria varcata la quale si rinnegano i propri ideali. Il conflitto della coscienza porta tante persone a infilare la scheda nell’apposita urna, svelando sul volto una smorfia di dolore, con la convinzione di aver messo faticosamente una croce sul candidato a sindaco meno distante dai propri ideali.

Nel caso in cui l’appello alla responsabilità convinca l’elettorato progressista giunge il giorno in cui (per fortuna) le destre prendono atto della sconfitta. La vittoria lascia però in gran parte dei votanti del centrosinistra la sensazione amara della disfatta, anziché del successo. L’alleanza forzosa con la sinistra diffusa si sfalda improvvisamente, appena terminato lo stato di necessità, e la “paura della destra neofascista vittoriosa” viene archiviata per altri cinque anni.

Lo scampato pericolo di rado si trasforma in discussione all’interno delle nuove e fiammanti giunte. Pochi eletti purtroppo meditano sugli appelli fatti nei giorni precedenti e l’ordinaria amministrazione torna a prendere il sopravvento su tutto. Le radici che nutrono xenofobia e sovranismo vengono quindi ignorate ancora una volta, consentendo così la loro crescita esponenziale nel terreno.

Tutto si ripete giorno dopo giorno, compreso lasciare insolute le tante tensioni che percorrono la comunità raccolta sotto la Mole. Il disagio provato da ampie porzioni della popolazione viene portato a maturazione, mentre le occasioni perse dalle maggioranze “amiche” alimentano tra i militanti della Sinistra il disorientamento e tanta delusione. I cittadini più attenti prendono invece atto dell’ennesima amministrazione dove è severamente vietato “Disturbare il manovratore” e si auto-organizzano nel tentativo estremo di tutelare il territorio.

Sono davvero rari gli eletti che dimostrano di voler cercare soluzioni per affrontare i malesseri incarniti nel tessuto cittadino, rifiutando di abbandonarsi alla sola retorica. Girarsi dall’altra parte per ignorare le piaghe della povertà economica, della miseria culturale, della sofferenza degli abitanti di alcuni rioni facilita la trasformazione di un sentimento collettivo di sopportazione in un gigantesco scollamento tra istituzioni e territorio. Mutazione fertile per l’inevitabile recrudescenza di nostalgie per un passato dipinto spesso (e in modo decisamente erroneo) come glorioso e di difesa sociale.

Questa città possiede ancora innumerevoli risorse sia fisiche (strutture oggi abbandonate) che umane. La ricerca di soluzioni fattibili e di risposte dirette a chi non ha lavoro, pur cercandolo affannosamente, a chi abbandona la scuola, agli anziani in attesa di alloggi popolari, a famiglie straziate dalle difficoltà del sopravvivere raffigurano il modo per battere i fronti reazionari e nostalgici.

Le azioni di un governo comunale impegnato a non lasciare indietro nessun cittadino, e a difendere dalle speculazioni private i beni comuni, sono le uniche che consegnano credibilità a un sindaco attivo nel contrastare l’avanzata della destra.

Occorre tornare a una politica che abbia la “passione” come ingrediente principale, così da poter lasciare la retorica e gli appelli al voto a chi non ha altro da dire. 

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