Una Margherita 2.0, ecco il progetto

Se ne parla sempre più spesso. Sui giornali, nei vari talk televisivi e nei dibattiti periferici. E se ne parla non per civetteria o per delineare progetti avveniristici. No, alle prossime elezioni politiche ritornerà una presenza politica “centrista”. E questo non solo perché, ormai da tempo, svariati opinionisti e commentatori individuano nel “centro” e, soprattutto, nella assenza di una “politica di centro” uno dei vuoti maggiori che vanno colmati dopo il fallimento del populismo grillino e la crisi del sovranismo della destra, ma per la semplice ragione che nel nostro Paese le migliori stagioni politiche sono sempre coincise con la presenza di partiti di centro che sapevano declinare concretamente molti ingredienti che storicamente hanno arricchito e qualificato la democrazia italiana: dalla cultura di governo alla cultura della mediazione, dalla ricerca di una sintesi tra le visioni contrapposte alla condanna di ogni forma di radicalizzazione del conflitto politico, dal rispetto delle istituzioni democratiche al valore della competenza e della qualità della classe dirigente.

Insomma, una serie di elementi che hanno caratterizzato nei decenni la democrazia nel nostro Paese e lo stesso sistema politico. E, detto in altre parole, l’esatta alternativa di ogni forma di populismo che in questi ultimi anni ha demolito sistematicamente tutto ciò che ha caratterizzato per svariati lustri la seppur fragile democrazia italiana. Al punto che oggi il partito populista per eccellenza, cioè i 5 stelle, hanno sistematicamente rinnegato tutto ciò che hanno urlato, scritto detto e giurato in tutte le piazze italiane per molto tempo. È persin inutile stendere l’elenco degli argomenti rinnegati perché è sotto gli occhi di tutti.

Ma, per ritornare alla politica e al potenziale ritorno dei partiti che rinnegano il populismo e qualsiasi deriva autoritaria e qualunquista, è innegabile che il ritorno di una presenza di “centro” non potrà essere il frutto di operazioni identitarie da un lato o di mera rendita di posizione dall’altro. È, semmai, la miglior tradizione di “centro” che va riscoperta e riattualizzata. Quella, per intenderci, teorizzata, spiegata e praticata da uomini come Mino Martinazzoli che proprio in queste settimane, a dieci anni dalla sua scomparsa, viene ricordato e riletto il suo magistero politico, culturale e istituzionale. Un “centro”, cioè, che produce politica e che punta, esplicitamente, a battere quella radicalizzazione della lotta politica tra una sinistra massimalista e il populismo grillino da un lato e il sovranismo esasperato di alcuni settori della destra dall’altro.

La scommessa politica vera, semmai, è quella di dar vita, come sostengono apertamente i vari leader che in queste settimane stanno affinando questo progetto, ad una sorta di “Margherita 2.0”, cioè un luogo politico riformista, plurale e di governo che rifugge dai populismi e dai massimalismi che purtroppo continuano a costellare molti settori della politica italiana. Una “Margherita 2.0” che contempla, come ovvio, la cultura delle alleanze ma in un’ottica di forte profilo riformista e di governo. Perché il dato di fondo è che quest’area, al di là delle buone intenzioni di quei partiti che non demonizzano pregiudizialmente il “centro” e ciò che ha rappresentato concretamente nel nostro Paese, oggi non è politicamente rappresentata. Di qui un vuoto politico che va colmato e che, soprattutto, va rappresentato nelle istituzioni. A livello locale come, e soprattutto, a livello nazionale. E quindi, cattolici democratici, popolari e sociali, laici e riformisti, verdi e ambientalisti e liberal democratici sono e restano i settori politici e culturali decisivi per far decollare questo progetto. Un progetto che, finalmente, sta decollando. E questo non solo per il bene di questo futuro partito ma, soprattutto, per la qualità della nostra democrazia e la credibilità della stessa politica.

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