Ambiziosi ma coi piedi per terra

Il Rapporto Rota è una garanzia annuale per fare un’analisi della situazione torinese, peccato che molti si limitino a leggere gli articoli che ne parlano e non tutta la ricerca. D’altra parte è il metodo, ormai, per informarsi. Il recente rapporto conferma quello che da tempo si è detto sugli innumerevoli progetti della Regione Piemonte e della precedente amministrazione pentastellata: progetti ambiziosi ma irrealizzabili e distribuzione a pioggia con dispersione dei soldi del Pnrr.

Ma lasciamo parlare il Rapporto: “Si conferma l’impressione che l’insieme degli interventi proposti sia interpretabile anche come una sorta di piano di manutenzione straordinaria del territorio, sia questo urbanizzato, naturale/rurale o virtuale. Nelle manutenzioni straordinarie rientrano infatti in qualche modo anche gli interventi sulla digitalizzazione di archivi, procedure e servizi pubblici, ad apparire
carente, tuttavia, è un’operazione di selezione e sistematizzazione delle priorità, che probabilmente aiuterebbe anche ad eliminare sprechi e duplicazioni”
.

Condivisibile e già sostenuta in precedenti articoli la tesi per cui “I grandi progetti che interessano l’area metropolitana automotive, aerospazio, idrogeno, Parco della salute a Torino e Città delle scienze a Grugliasco, idrogeno – restano quelli definiti nel quinquennio 2015-19, con la sola eccezione di Piemonte hydrogen valley, per il quale al momento è disponibile una ventina di slide e rispetto al quale, in ogni caso, sembra delinearsi a livello nazionale un processo di selezione competitivo, simile a quello che si prospetta per il Centro nazionale sull’intelligenza artificiale, a suo tempo (settembre 2020) «assegnato» dall’allora Presidente del consiglio Giuseppe Conte a Torino e poi fatto saltare dal governo Draghi”.

E poi sulle Mission 5 e 6 ovvero “l’asse Inclusione e coesione sociale sembra aver attirato una progettualità relativamente scarsa, il che stupisce in un’area – come è specificamente quella torinese – in cui la crisi prima e la pandemia dopo hanno lasciato cicatrici profonde e visibili. Non un progetto, per esempio, pare essersi misurato con l’insieme dei temi legati alle diseguaglianze di genere, preesistenti alla pandemia e da questa accentuate e inasprite”. Soprattutto questo orientamento dimostra che gli Enti Locali sono più interessati a realizzare una rotonda stradale o un campo da calcetto più facili a farsi e portano più consenso piuttosto che impegnarsi in investimenti seri.

Sorge spontanea quindi la domanda che il rapporto Rota, infatti, si pone: “se le priorità per l’industria manifatturiera dovrebbero essere l’innovazione digitale e la riduzione delle emissioni e dei consumi energetici, ha senso continuare a concedere contributi pubblici anche per la costruzione di capannoni? Se la priorità per il turismo è la costruzione di percorsi che rispondano a esigenze e sensibilità di specifici pubblici, ha senso finanziarie singole iniziative slegate da qualunque contesto?”.

Ogni progetto dovrebbe essere corredato dall’impatto occupazionale, con occupazione stabile, sul territorio come parametro dirimente per essere finanziato. E questo avrebbero dovuto chiederlo amministratori locali e associazioni datoriali che invece, a suo tempo, si sono orientate sull’usato sicuro ma vecchio.

Torniamo ora alla vicenda ex Embraco per fare un plauso all’ex candidato sindaco del centrodestra che ha espresso l’intenzione di assumere una decina di lavoratori ex Embraco nelle sue aziende. È un buon segnale ed esempio, anche di coerenza, che dovrebbe essere seguito da altri imprenditori perché la responsabilità sociale dell’impresa non deve fermarsi dentro il recinto aziendale ma essere elemento condiviso di crescita del territorio e di risoluzione dei problemi locali. Il benessere del territorio ricade anche sulle singole imprese. Purtroppo noto che anche l’azione di Damilano è condizionata da una situazione economica (chi assume lavoratori da aziende in crisi ha degli sgravi contributivi) che rende conveniente l’assunzione del lavoratore ex Embraco, quindi siamo più nel campo della convenienza piuttosto che della solidarietà sociale, ovvero farsi carico di un costo sociale.

Qualche anno fa durante una trattativa di acquisizione di un’azienda di circa duecento dipendenti da parte di un imprenditore torinese mi trovai nella condizione per cui alla fine della trattativa ne rimanevano dodici “appesi”. Il capo delegazione aziendale non ne voleva sapere di farsene carico. Dopo alcuni giorni mi chiamò direttamente l’imprenditore e mi disse che in un Gruppo di duemila dipendenti, nel mondo, dodici persone in più erano un costo assorbibile e che qualche lavoro glielo avrebbe fatto fare. Ecco questo è un segnale di solidarietà e responsabilità sociale di un’impresa: farsi carico di un costo sociale “mettendoci del suo”. L’azione di Damilano è meritoria e va evidenziata augurandomi che abbia un seguito da altri imprenditori e non è necessario farlo sapere ai giornali. Ma nello stesso tempo mette in risalto come ci sia una finta facciata per cui a Torino non si fa nulla senza niente in cambio. Questo tra l’altro, magari accompagnata da un’azione della Città Metropolitana e della Regione per reindustrializzare l’area con progetti “veri”, è l’unica strada per rioccupare i lavoratori ex Embraco. Il “tutti o nessuno” della Fiom è impraticabile come le sceneggiate di tutti coloro che hanno promesso e illuso.

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