Il dibattito e le menzogne

Nei giorni scorsi una troupe del canale francese TF1 è approdata al forte di Fenestrelle per girare un servizio sul bene monumentale e la sua gestione. Sono rimasto colpito dalla professionalità e dalla simpatia delle inviate dalla testata televisiva, ma una domanda posta dalla giornalista durante il fuori onda ha scosso in me una grande preoccupazione. La reporter infatti ha chiesto se corrispondeva a verità quanto le avevano detto alcuni amici parigini, ossia se la fortezza fosse davvero il luogo in cui avvenne il genocidio di soldati appartenenti al disciolto esercito delle Due Sicilie (1860).

La più grande fake inerente il Risorgimento ha quindi varcato i confini nazionali per diffondersi anche in Europa. Giornalisti, intellettuali e persone di cultura in Francia, come certamente in Inghilterra e chissà dove altro, sono convinti che il nostro Paese si sia unito in seguito a una carneficina di prigionieri italiani eseguita proprio nella fortezza di Fenestrelle. Con buona pace della nostra immagine internazionale, è spaventoso riscontrare in che modo l’invenzione storica, ideata tra gli altri da Fulvio Izzo nel libro “I lager dei Savoia” e poi ripresa da Pino Aprile, sia diventata in pochi anni una vera e propria riscrittura degli eventi storici risorgimentali a favore della casata borbonica.

A nulla sono valsi i documenti d’archivio che narrano di una fortezza fenestrellese diventata durante gli anni del Risorgimento un deposito militare, e non un carcere, dove le truppe preunitarie venivano preparate a vestire la divisa del nascente esercito italiano. A nulla è valso il ritrovamento del registro dei soldati “napoletani” spirati realmente nel forte, a causa di malattie polmonari assolutamente non trascurate dall’ospedale di Fenestrelle. Deceduti che ammontano a quattro, e non quarantamila come asseriscono alcuni siti neoborbonici. Neppure il brogliaccio contenente l’elenco degli ex militari del Regno delle Due Sicilie trasferiti da Fenestrelle ai reparti italiani di fanteria, cavalleria, artiglieria e regi carabinieri è servito a ridurre il mito del genocidio ai reali pochi morti per patologie, all’epoca non curabili per l’assenza degli antibiotici.

Una pagina di riscatto della nazione dal gioco straniero, a cui il Meridione partecipò con convinzione essendo parte attiva quanto indispensabile, viene oggi descritta come un’invasione al pari di quella nazista del dopo 8 settembre 1943. Di fronte a questa immagine perdono credibilità le medesime istituzioni statali, mentre si diffonde un odio interregionale che prima o poi presenterà un conto salato a tutti quanti noi.

Quel che turba in modo particolare è il silenzio delle istituzioni su questo tema. Si lascia dire senza ribattere, affidando rare repliche a documentari trasmessi dai canali Rai alle due del mattino oppure all’infaticabile professor Barbero, da tempo oggetto di minacce gravissime da parte di coloro che credono nella bufala del genocidio (minacce ricevute in passato anche da chi scrive su questa rubrica). Vengono lasciati soli anche i tanti docenti e studiosi che vivono nel Sud Italia, i quali ogniqualvolta pubblicano ricerche che smentiscono le tesi neoborboniche (come le immaginarie stragi di Casalduni e Pontelandolfo ad opera dell’esercito italiano) vengono inondati di insulti e tacciati di tradimento. Lo Stato se ne lava le mani alla Ponzio Pilato in maniera incredibilmente pavida, ignorando pure la guardia reale che non perde occasione di ordinare il “presentat’arm” all’urlo di “Viva ‘o Re” al passaggio dei discendenti della dinastia borbonica.

Del resto, i Borbone sono sempre pronti a distribuire onorificenze e medaglie a noti parlamentari e ministri che dovrebbero rappresentare in realtà la Repubblica; inoltre contraddire le affermazioni frutto del sovranismo meridionalista può costare in termini di voti. Meglio quindi coltivare bugie sino a farle diventare verità riconosciute da tutti, a destra come tra le frange più ingenue della sinistra e dei 5 stelle.  Un progetto molto ben organizzato, costruito alla perfezione dal primo leghismo dalle voglie secessioniste e ben rappresentato dall’onorevole Borghezio, spesso al fianco dei nostalgici dei Borbone alle celebrazioni dell’irreale “lager” fenestrellese. E’ risaputo che per spaccare un Paese in due non basta insultare vergognosamente il Sud dai banchi della Lega Nord, ma occorre pure che prenda piede un sentimento di odio diretto al Nord da parte del Meridione: niente di meglio quindi che inventare stragi e lager, così da poter disprezzare comunque Torino, ossia la città da cui il Risorgimento è partito. Il voto monarchico pro Savoia vittorioso al Sud nel giugno 1946 è stato cancellato con un colpo di spugna, così come il consenso fortemente repubblicano del Piemonte intero.

La cenere ha creato incendi senza l’intervento di alcun pompiere. L’anno scorso un gruppo di militanti estremisti pro-Borbone è entrato a forza nel forte di Fenestrelle, incurante degli inviti ad andarsene da parte dei gestori e arrivando sulla piazza d’armi pedonale in auto malgrado la presenza di numerosi visitatori: le istituzioni hanno taciuto ancora una volta malgrado gli esposti presentati alle autorità competenti.

Le menzogne sono oramai all’ordine del giorno, con esse si costruisce la politica interna di potere, quella di opposizione e le alleanze internazionali. L’indifferenza dell’autorità statale sull’attacco portato alle sue stesse fondamenta storiche fa male, ma soprattutto sembra voler riconoscere la fandonia quale metodo di lotta politica. Rimane però da chiedersi quali siano le ragioni sociali alla base di tanta credulità popolare, e perché l’emergere di tante voglie identitarie.

Il dialogo tra persone in buona fede su posizioni contrapposte lascia il campo alle grida esasperate di mentitori seriali appartenenti ad ambo i fronti: la falsità diventa in tal modo anche azione di Stato e i cittadini vengono trattati al pari di bambini da convincere minacciando l’arrivo dell’uomo nero.

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