Nazionalismi de noantri

Saremo pure un popolo di inventori ma in tema di licenziamenti collettivi derivanti da chiusure aziendali c’è poco da inventare e molto da applicare già dalle vigenti leggi in materia. Ricordo che la legge 223 del 1991, una pietra miliare, disciplina già la materia. Si tratta solamente di inasprirla nei costi per le imprese che chiudono per de localizzare ma sarà d’accordo Confindustria? Pare proprio di no.

Si leggono sui mass media ipotesi come se la materia non fosse già regolamentata e fosse un tema nuovo, già la famosa memoria storica e la competenza di chi discetta dando aria alle corde vocali. Ma anche il ministro del Lavoro forse ha citato poco la 223.

Vorrei ricordare anche che al di là dei titoloni dei giornali, qualsiasi procedura di licenziamento individuale o collettivo è nullo senza un atto scritto inviato direttamente al lavoratore.

La legge 223/91 agli articoli 4 e 24 è precisa e circostanziata sulle procedure di licenziamento collettivo. Così recita: “L'impresa che intende avvalersi della procedura di licenziamento collettivo deve fornire preventiva comunicazione scritta alle RSA o RSU e alle rispettive associazioni di categoria. (…) La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata anche tramite l’associazione datoriale cui l'impresa aderisce o conferisce mandato (art. 4, comma 2, L. 223/1991).La stessa comunicazione deve essere inviata anche al competente Ufficio della Regione (o della Provincia, se delegata dalla Regione) nel cui territorio insistono le unità aziendali interessate, ovvero alla Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, qualora l’eccedenza riguardi unità produttive ubicate in più regioni”. Sono anche normate le motivazioni: “i motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva”.

L’informativa di cui sopra è il primo passo della procedura e non può essere omessa in nessun caso, anche – secondo l’ordinanza n. 89 del 04.01.2019 – nel caso di chiusura totale dell’azienda. La procedura di consultazione sindacale ha una durata complessiva di 75 giorni ma può essere prorogata se vi è una trattativa in corso e con il consenso delle Istituzioni preposte.

Se abbiamo già una legge che di fatto contempla quasi tutta la casistica compresi gli impegni per l’azienda in processi di ricollocazione e formazione dei lavoratori eccedenti perché è così complicato inserire alcune piccole modifiche in modo da adeguarla e rafforzarla sul tema delocalizzazioni? Temo che ogni Governo finga di ignorare il passato e l’esistente per dimostrare la sua esistenza, lasciare una traccia da parte del Ministro in carica continuando a emanare decreti nuovi. Certo occorre inasprire i costi per l’Azienda che chiude per delocalizzare e maggiori vincoli e costi anche per la formazione e ricollocazione del lavoratore. E qui, ripeto, vorrei capire quando Confindustria gioisce per azioni di reshoring a favore dell’Italia quanto condivide le penalità per chi il reshoring lo fa dall’Italia verso altri Paesi. A sentire il suo presidente, imprenditore senza operai (a dire di Bombardieri), abbiamo una netta contrarietà. D’altra parte la coerenza è una cosa seria. Ma questo è un ragionamento che vale per tutti, compreso il sindacato, perché sovente le attività non spariscono ma vanno in altri Paesi e ovviamente “l’internazionalismo proletario” viene omesso dimenticandoci che il dumping salariale e sociale tra lavoratori di diversi paesi e continenti diminuirà al crescere del benessere sociale e economico di chi sta peggio. E non siamo noi. Ovviamente sono esenti i lavoratori che perdono il posto di lavoro perché se hai la vita stravolta da un licenziamento è anche difficile la razionalità da cui invece non dovrebbero essere esenti Sindacalisti e politici. 

I nazionalismi de noantri sono inutili e non fermeranno i processi ma sono molto utili a fare confusione e creare disorientamento oltreché essere facili consensi elettorali ma non risolvono il problema. Ecco perché vorrei sentire una frase del genere dal ministro Orlando e non solo: “Abbiamo già una buona legge in Italia, la 223 del 1991, miglioriamola!”. Ma non diciamolo a Giggino e alla sua “dignità”.

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