La dignità del lavoro

L’espressione “lavoro dignitoso”, ormai molto in voga, non mi piace. La trovo fuorviante e che si presti a interpretazioni riduttive nell’affrontare il tema del lavoro e della prima occupazione tra i giovani. Eppure dal mondo cattolico, della formazione, in Europa, nei partiti della sinistra si sta diffondendo il concetto di lavoro dignitoso. Il lavoro dignitoso è un lavoro con un giusto salario e svolto in un ambiente sicuro? Possiamo dire di sì. Purtroppo la realtà è diversa dalla teoria e da messaggi che possono passare sia nelle famiglie tra genitori e figli, sia nell’ambito della sinistra. Ancora una domanda: un lavoro retribuito giustamente ma pericoloso anche se svolto in sicurezza è un lavoro dignitoso? Quanti genitori direbbero in quel caso di fare quel lavoro?

I nostri Faussone, i tre gruisti morti nel crollo della gru in via Genova facevano un lavoro dignitoso? Sì, è la risposta, facevano un lavoro dignitoso, erano anche contenti di farlo, ma era anche un lavoro pericoloso.

Lavorare a un tornio a controllo numerico, fare il saldatore (lavori sempre ben retribuiti, spesso con superminimi aziendale) sono lavori dignitosi? Qual è la classificazione di lavoro dignitoso che la sinistra vuole fare? Sono dignitosi quelli intellettuali, come chi sostiene che l’alternanza scuola-lavoro va fatta solo nelle biblioteche e nei musei?

Si rischia di trasmettere ai giovani che si affacciano nel mondo del lavoro un’immagine del lavoro distorta. Andare a lavorare alla linea di montaggio della 500E a Mirafiori è un lavoro dignitoso? Mettersi una tuta per fare tre turni in Skf davanti a un canale di macchine utensili semiautomatiche è dignitoso?

Temo che se ricordiamo la polemica da sinistra sugli ingegneri assunti in linea a Melfi, qualche anno fa, la risposta sia: non è un lavoro dignitoso.

Attenzione, se confondiamo il lavorare in sicurezza, con le tutele sindacali (da non confondere con i diritti che rivendichiamo, a ogni battito di ciglia, in modo improprio) e con un salario contrattuale, con la tipologia di lavoro e lo classifichiamo dignitoso o meno in base alla tipologia creiamo un danno culturale, facciamo un errore di prospettiva verso i giovani. Soprattutto se questo schema di ragionamento lo fa la sinistra.

Si rischia di spiegare ai giovani che mettersi una tuta per lavorare in fabbrica non è dignitoso e questo, creato a sinistra, allargherà il divario tra i ceti sociali che possono fare studiare i figli e le classi meno abbienti che mandano i loro figli sino alle professionali, se va bene, per imparare un mestiere. E dalle professionali si va in fabbrica con una tuta addosso, principalmente.

Ecco perché, se fatto nel modo sbagliato, altamente diseducativo parlare di lavoro dignitoso ai giovani anche perché presuppone che entrato in un’azienda non ci sia nulla da conquistare, da migliorare sul posto di lavoro. Magari fosse così!

Alle nostre generazioni di studenti, futuri lavoratori, va spiegato che il lavoro stesso è dignità e che bisogna impegnarsi affinché sia ben retribuito attraverso la contrattazione sindacale come tutela collettiva e con la professionalità e la competenza come percorso  di crescita.

La dignità del lavoro avviene migliorando continuamente la sicurezza sul lavoro che deve limitarne la pericolosità.

Le tutele sul lavoro danno dignità al lavoro, ripeto, sovente confuse con i diritti, il cui concetto è talmente abusato che ha prodotto risultati negativi perché ormai si è consolidata l’idea che ci siano “diritti dovuti” e non più diritti conquistati nel tempo con le lotte e che sul lavoro sono, comunque, tutele mentre nella società civile sono, appunto, diritti civili.

Rischiamo di far passare un messaggio ai giovani in cui il lavoro manuale è di per sé non dignitoso. Una deriva pericolosa su cui la sinistra deve riflettere sulle parole d’ordine che usa perché il risultato è di allontanarsi ancora di più da una fascia sociale che è quella del lavoro dipendente e diventare sempre più sciccosi. Salvo prendercela con la cameriera che ci abbandona su due piedi con la lavatrice da fare e il pranzo da cucinare perché ha trovato un lavoro (e un datore di lavoro) più... dignitoso!

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