Dostoevskij e gli (inutili) idioti

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha coinvolto emotivamente l’opinione pubblica mondiale, complice il flusso di notizie e immagini dalle zone di guerra e l’evidente sproporzione di forze che fanno parteggiare dalla parte più debole. Questa emotività ha avuto delle reazioni a dir poco fuori luogo. Il colmo si è raggiunto con la vicenda del corso su Dostoevskij che si doveva tenere all’università di Milano, come se per il fatto che in Germania si è avuto il nazismo smettessimo di leggere gli autori tedeschi. Per giunta all’errore si è giunta altro errore quando l’università ha chiesto al titolare del corso di inserire autori ucraini. Capisco la reazione emotiva, ma che senso ha, eliminare un corso su un autore vissuto nell’800, un grande della letteratura mondiale, che nulla a che vedere con le vicende attuali? Così il comportamento del sindaco di Milano che ha voluto licenziare il direttore c’orchestra russo perché non aveva fatto nessuna dichiarazione contro l’invasione ucraina imponendo una censura che poco attiene ad una liberaldemocrazia.

Quello che distingue uno stato liberale da una dittatura è proprio la possibilità che possano convivere diverse opinioni, se ci si mette a censurare e a licenziare che cosa dovrebbe distinguerle dai regimi autoritari? Chiaramente la vicenda sul corso su Dostoevskij è incommentabile e si spera che sia frutto di obnubilamento per forte emozione e non per una qualche forma di stupida pubblicità. Storicamente in guerra ci sono sempre stati provvedimenti restrittivi nei confronti della popolazione residente che abbia origine dallo stato in cui si è in guerra per paura di sabotaggi interni, ma non mi pare questo il caso. Un conto è sanzionare i cosiddetti oligarchi che costituiscono i sostenitori di Putin, ma chiedere una dichiarazione politica a dei cittadini russi è un comportamento illiberale.

Quello che si può notare è che l’invasione deriva da uno Stato fortemente centralista e centralizzato in cui il potere statale sovrasta quello della società che è costantemente censurata e limitata. È da chiedersi se in uno Stato leggero privo di un potere forte e in cui i cittadini abbiano possibilità di intervenire sulle decisioni politiche, un governo possa scatenare una guerra. Una società costituita da individui liberi che lavorano, scambiano e cercano di raggiungere un po’ di benessere non ha interesse a fare una guerra che significa morte, distruzione e impoverimento.

Dove esiste uno Stato forte che imbriglia la società e che decide chi può arricchirsi con appalti e monopoli statali, i cittadini sono in balia di chi governa e sono vittime di decisioni che cadano dall’alto. Dove uno Stato riesce ad avere potere sulla società chi governa può prendere decisioni scellerate come quella di una guerra. In Ucraina si può constatare, tra l’altro, che un popolo anche male armato può fermare un esercito potente, per quanto sorgono dubbi sull’efficienza dell’esercito russo che sembra avere problemi organizzativi.

L’esercito viene considerato un attributo tipico di uno Stato, anzi si può dire che uno Stato è definito dal monopolio della violenza su un determinato territorio. In questa guerra si può notare che demandare ai cittadini alcuni compiti della difesa non è un’idea folle come possa sembrare. Sicuramente la tecnologia impone un certo professionismo, ma una milizia di cittadini o un addestramento militare diffuso come in Svizzera ha ancora un senso anche in tempi moderni.

Non possiamo che sperare e pregare che la guerra finisca al più presto.

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