Né equidistanti né inerti

Tra Ucraina e Russia non si può essere equidistanti. Questo è il senso della posizione della Cisl nazionale. Ed è vero. Quando la parola passa alle armi c’è un aggredito e un aggressore.

Ci sono anche questioni a cui l’Occidente non si è dato una risposta e il Donbass e la vicenda della Crimea erano le punte di un iceberg evidente. Forse però erano considerate ancora guerre lontane dai confini d’Europa come le molte altre dimenticate.

Caduto il muro di Berlino, nell’ormai lontano 1989, l’Occidente pensava che non fosse più necessario avere un “divisorio” con la Russia come invece era con l’Unione Sovietica. Anche perché Eltsin prima e Putin poi, dopo avere disintegrato l’Urss e affondato la perestroika di Gorbačëv (quanto dobbiamo rimpiangerlo oggi avendo l’Occidente snobbato la sua politica), comunque avevano in testa un confine tra Occidente e Oriente. Un confine con i Paesi Nato che non confinasse con la Russia.

Concordo con chi pensa che vada rivisto il ruolo dell’Europa nella Nato, non per uscirne ma perché nella Nato dovrebbe starci un sistema di difesa europeo e non i singoli Paesi europei.

Saremo una vera Europa, cioè un Paese, quando sarà ridata autorità politica primaria alla Commissione Europea, cioè a un Governo europeo senza veti dei singoli Stati; quando avremo una politica economica unica e quando ci sarà un sistema di difesa europeo.

Certo, siamo umani e deboli, della guerra ci interessiamo di più quando la vediamo più vicina, e quando può minacciarci le nostre coscienze sono più ricettive. Ora Putin fa paura perché ha disvelato tutta la sua follia politica e militare, ecco che allora serve accelerare scelte europee, anche in emergenza, per fare un’industria della difesa compatta e competitiva uscendo dai forti condizionamenti degli Usa. Purtroppo, bisognerà spendere ancora e molto sull’industria della difesa perché non esiste difesa passiva e pacifismo di fronte ai dittatori.

Oltretutto la sinistra nella sua storia è stata quella che più ha combattuto con le armi in pugno i dittatori: in Spagna, purtroppo dividendosi e aprendo la strada a Franco; nell’America Latina insieme al mondo cattolico; in Europa con i comunisti italiani e francesi in primis.

Costruire un’Europa unita con un sistema di difesa europeo significa scrollarsi il giogo Nato, che dipendono di fatto dagli Usa, ma significa anche rilanciare nel campo della ricerca militare con imponenti ricadute sul civile come è sempre avvenuto nell’ambito dei materiali, della medicina, della tecnologia e del software. Molte applicazioni, una per tutte la fibra di carbonio, passano dalla ricerca sul militare.

Molto di questo passa anche da Torino. Torino che ha una esperienza “illimitata” nel campo aerospaziale, anche civile ovviamente. Dagli uffici di corso Marche sono usciti il Tornado e l’Efa, jet europeo; invece, il Jsf F35 della Lockheed Martin ha segnato di nuovo una dipendenza dagli Usa e noi siamo soprattutto produttori di parti e allestimento finale per i nostri velivoli.

La risposta di Torino a una problematica così complessa e impegnativa non può ridursi al decantato Polo Aerospaziale che prevede un centro universitario, con il dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino che era già in corso Marche, start up innovative, piccole e medie imprese (un’idea vecchia che non ha mai funzionato sinora e per cui è già stato ristruttura un edificio; l’ex collaudo ricevimento merci per i “vecchi di Aeritalia”). E infine un vero e proprio Space Center con aree educative e spazi museali dedicati allo spazio (Collegno ha già realizzato il Mua: Museo Urbano Aerospazio).

Torino con gli stabilimenti di Leonardo, Altec, Thales, AvioAero, Collins e oltre cinquanta aziende del settore con alcune decine di migliaia di addetti solo in Piemonte è la seconda filiera dopo l’automotive e quindi merita un’attenzione particolare agendo in buona parte nel campo della sicurezza nazionale.

Questo doloroso momento che viviamo deve trasformarsi, anche, in un’azione concreta per rilanciare politiche europee di cambiamento dei rapporti mondiali tra partner, come la Nato, non per ritirarsene ma per creare finalmente quell’industria europea della difesa in cui Torino deve giocare un ruolo primario.

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