Ora una nuova classe dirigente

Se la politica estera è il faro che illumina il progetto di un partito e la credibilità di una coalizione, è indubbio che avere una classe dirigente qualificata, autorevole e riconosciuta è la discriminante per ridare nobiltà e, al contempo, un ruolo alla politica. Una condizione che nella cosiddetta prima repubblica era la precondizione non solo per l’importanza che il fatto ha in sé ma anche, e soprattutto, per accreditare il nostro Paese a livello europeo e internazionale. Lo abbiamo potuto verificare concretamente in questi ultimi quattro anni della legislatura. Una legislatura che si è aperta con la vittoria del partito populista e anti politico per eccellenza – cioè i 5 stelle di Grillo – e il partito sovranista per antonomasia, ovvero il movimento di Salvini. Due forze che, coerentemente, hanno governato insieme e che mantengono tuttora una forte convergenza politica e programmatica. Anche se, cammin facendo, hanno dovuto rinnegare pubblicamente e ripetutamente, tutto ciò che hanno detto, urlato, scritto e sbraitato nelle piazze italiane per molti anni. Adesso tutto ciò, e soprattutto dopo questo evento bellico in Ucraina, è semplicemente archiviato se non addirittura rispedito al mittente. Una capriola che riduce il leggero e soffice trasformismo del passato ad un gioco da bambini. Qui ci troviamo di fronte ad una operazione trasformistica ed opportunistica che non ha eguali nella storia democratica del nostro paese.

Veramente può capitare di tutto. Perché quando assistiamo a questi cambiamenti repentini ed improvvisi, è del tutto ovvio che non si capisce più quale possa essere la tappa finale di queste operazioni trasformistiche. Ma, per ritornare all’importanza di avere una classe dirigente politica di qualità e robusta – riconosciuta a livello nazionale ed internazionale – è indubbio che è altrettanto necessario archiviare al più presto la fase che abbiamo avuto la possibilità di sperimentare e di conoscere in questi ultimi quattro anni.

Sarebbe perlomeno curioso se la stagione politica che si apre con il voto della prossima primavera fosse di nuovo guidata da personaggi e da forze politiche che hanno già offerto uno spettacolo poco dignitoso sul versante della capacità di governo e della stessa autorevolezza della classe dirigente. Certo, quest’ultima fase è stata contraddistinta dall’arrivo di una grande personalità come Draghi e dall’avvento dei “tecnocrati” che risanano il Paese. Una condizione che si è resa necessaria anche dopo il sostanziale fallimento della politica che era uscita vincente alle elezioni del 2018. Ed è proprio in questo contesto che si impone la necessità di avere una classe dirigente politica nuovamente autorevole accompagnata, però, anche da partiti che abbiano una bussola e soprattutto un progetto politico e di governo.

La fase dell’improvvisazione o della “fantasia al potere”, della casualità o della cronica impreparazione, non potranno più essere gli ingredienti fondamentali e decisivi per il futuro. Certo, molto dipende anche dalle alleanze e dalle coalizioni che si metteranno in piedi al momento opportuno. Ma è certo che la qualità della politica e l’efficacia dell’azione di governo potranno ritornare protagoniste solo se la politica, e con lei la classe dirigente, saranno altrettanto autorevoli e capaci. Non si tratta di rimpiangere i caposaldi della prima repubblica ma è indubbio che senza il ritorno dei cosiddetti “fondamentali” tutto è destinato a restare inalterato ed immutato. E a questa domanda la risposta viene soltanto dai partiti che saranno nuovamente in campo, dalla classe dirigente che verrà presentata e dai vari progetti politici che saranno offerti alla pubblica opinione. L’unico elemento chiaro è che non si possono più riproporre le ricette populiste o sovraniste come le armi decisive per ridare smalto alla politica, credibilità alle istituzioni e qualità alla nostra democrazia.

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