Con la politica tornano anche i leader?

Il lento ma progressivo ritorno della politica, dei partiti, delle culture politiche dovrebbe archiviare definitivamente la malapianta del populismo che è stata la vera insidia e il vero pericolo per la salvaguardia della democrazia, la credibilità delle istituzioni democratiche e la stessa efficacia dell’azione di governo. Un malcostume politico e una deriva etica che hanno caratterizzato la politica italiana in questi ultimi anni minando alla radice gli stessi valori che storicamente hanno accompagnato il cammino della nostra democrazia. E la crisi, speriamo irreversibile, del cosiddetto grillismo dovrebbe favorire ed accelerare, al riguardo, il ritorno di una politica che è sinonimo di partiti organizzati e democratici, di culture politiche non farlocche e, soprattutto, di autorevolezza e statura della classe dirigente. A livello nazionale come a livello locale.

Ora, però, si tratta di capire se in un contesto come quello che si sta seppur lentamente configurando, torneranno anche i leader politici. “Leader e non capi”, per dirla con Mino Martinazzoli. Perché al capo, di norma, si obbedisce e la cornice non può che essere quella di un partito caserma o di un partito personale. Il leader, al contrario, è il punto di riferimento di una comunità politica, è il faro che illumina la sua comunità attraverso il contributo di tutta la sua comunità. Non a caso, un grande partito popolare e di massa come la Democrazia Cristiana non aveva capi ma, semmai, grandi leader, grandi statisti e grandi uomini e donne di governo. E si parlava, appunto, di una “leadership diffusa”, ovvero di leader riconosciuti a livello nazionale ed internazionale che però non assumevano mai il ruolo di capi indiscussi e indiscutibili. Il tutto, come ovvio, avveniva all’interno di un partito autenticamente e statutariamente democratico, collegiale e partecipativo. Tutt’altra cosa rispetto ai partiti personali, al partito del guru, ai cartelli elettorali che abbiamo conosciuto e sperimentato concretamente in questi ultimi anni. Per questi motivi è giunto il momento, forse, per capire e comprendere sino in fondo qual è stato il ruolo dei grandi leader politici del passato all’interno dei loro partiti e nella società. Certo, al riguardo, ognuno di noi ha la sua esperienza concreta e, di conseguenza, i suoi modelli di riferimento. Ma quello che conta rilevare e richiamare all’attenzione è che la politica ritorna ad avere un ruolo, funzione e una mission solo se archivia definitivamente e senza appello la concezione ridicola e grottesca “dell’uno vale uno”, e cioè della radicale delegittimazione di ogni leadership, di ogni carisma e di ogni statura politica, culturale e di governo. Detto in termini più semplici, va battuta la strategia grillina che è all’origine di questo decadimento politico, culturale, etico e programmatico.

Ecco perché, allora, è importante rileggere il ruolo che i grandi leader politici del passato hanno avuto nella loro concreta esperienza politica. Non per emularli, come ovvio e scontato. Ma per rendersi conto che senza leader politici è la stessa politica che è destinata ad entrare in crisi e a non risollevarsi. Per fare un solo esempio concreto, nazionale e locale, il magistero politico, culturale, sociale e di governo di uomini come Carlo Donat-Cattin è destinato a segnare il cammino e l’evoluzione della politica italiana perché, oltre alle doti di leader e al carisma indiscutibili, è stato anche un interprete, ancorché autorevole e di prestigio, di un filone ideale e politico che continua ad essere attuale e contemporaneo anche nell’attuale società italiana. Quella, cioè, del cattolicesimo sociale e popolare. E, non a caso, nel momento in cui la politica ritorna ad essere protagonista e centrale non può non ripartire dalla “fondamenta”, cioè da quelle personalità e da quelle culture politiche che hanno caratterizzato le migliori stagioni della politica italiana. Una operazione che adesso quasi si impone per necessità. Ed è quasi un dovere morale ripartire da queste fondamenta. Non per regressione nostalgica o per rimpianto del passato ma, al contrario, per un vero e serio investimento sul futuro. Politico, culturale, etico e di governo.

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