Salvo, mago delle focacce liguri
Oscar Serra 06:30 Giovedì 27 Settembre 2012
Quando Salvatore Lo Porto aprì la sua prima focacceria tipica ligure al civico 6 di via Sant’Agostino il Quadrilatero era ancora territorio off limits, nulla a che fare con quel ricettacolo di movida sciccosa in cui si è trasformato negli anni Duemila. Era il 1997 e lui, girovago dalle lontane origini sicule, fu il primo a puntare su quello che è diventato uno dei quartieri più cool della nuova Torino postindustriale. Aveva 21 anni di cui la metà vissuti a lavorare: prima come lavapiatti a Caluso, poi da pizzaiolo in riviera. Lì ha carpito tutti i segreti della vera focaccia ligure, da lì tutto ebbe inizio.
Papà palermitano, mamma di Agrigento: entrambi furono attratti a metà degli anni Settanta nella capitale del boom economico, terroni tra tanti terroni nel grande stabilimento di Mirafiori. E se è vero che un’altra Torino si è svelata sotto nuovo spoglie anche a causa della ritirata di Fiat, Salvo rappresenta a pieno quella generazione che ha contribuito a risvegliare Torino dal suo torpore di città-fabbrica.
Dopo un paio d’anni in affitto rileva il locale in via Sant’Agostino e a colpi di cambiali ne ottiene la proprietà. Un anno più tardi la focacceria ligure approda in via dell’Arcivescovado: bastarono poche settimane perché anche lì si formasse la coda. Il prodotto piaceva, eccome: l’olio era (ed è) quello tipico ligure, acquistato direttamente al frantoio, così come la farina e i prodotti che Salvo utilizza per le proprie creature. Solo lui e il fratello Giuseppe conoscono la ricetta delle loro focacce: la sera sono loro che versano le giuste dosi di ogni ingrediente nella impastatrice, come elementi di una pozione magica. E al mattino il prodotto è già sul bancone.
Presto i suoi locali iniziano a spuntare come funghi per tutto il centro e con essi anche le imitazioni. Lui non si perde d’animo: apre in piazza Castello, all’angolo con via Garibaldi, e infine sbarca addirittura a Porto Rico, ai Caraibi. Berretto all’americana sempre in testa, lo si può scorgere in giro per la città a bordo della sua bicicletta, perché lui la patente non l’ha mai presa: per ora si racconta di una Mini tenuta nel garage, prima o poi potrebbe servire. La sua giornata inizia alle 7 del mattino e finisce solo a tarda sera: la sua prima tappa è sempre in via Sant’Agostino e lì, dove la città vecchia s’insinua sino all’altezzosa via Garibaldi, pone fine alle proprie fatiche davanti a una birra bevuta con qualche amico del quartiere. Chi lo conosce lo definisce un gran lavoratore, ma soprattutto un vulcano di idee.
L’ultima impresa è Il Sarchiapone, una pizzeria aperta assieme a Tati dei Murazzi, in via Berthollet, nel cuore di San Salvario. Salvatore, però, resta un artigiano della focaccia. Da lui sono passati Sergio Chiamparino e Gianna Nannini, Mercedes Bresso e Giuseppe Culicchia, Nicolò Fabi e Max Casacci, Rolando Picchioni eSamuel dei Subsonica, solo per citarne alcuni. Tra loro c’è anche chi si è prestato per manifestazioni di beneficienza come “Piatto d’autore”, che tornerà il 10 ottobre, in cui un artista prepara la propria pietanza preferita, che verrà fotografata ed esposta in una mostra al Circolo dei Lettori, le cui opere verranno battute all’asta e il ricavato devoluto ai Padri Camilliani.