Un 25 Aprile di pace

La Festa della Liberazione celebra la fine del regime mussoliniano e dell’occupazione nazista, ma fornisce anche l’occasione per scattare la fotografia socio-politica annuale del nostro Paese e per aggiornamenti sullo stato di salute della Costituzione repubblicana.

L’anniversario del 25 Aprile 1975 coincise con il trentennale della sconfitta del Duce, e fu accolto in un clima di grande entusiasmo da giovani, lavoratori e partigiani. Non solo, all’epoca si festeggiò in ugual modo il primo anniversario della Rivoluzione dei garofani in Portogallo e, quindi, della caduta del dittatore Salazar. Quell’anno rappresentò forse il culmine della fusione tra i valori della Resistenza e le istanze di chi lavorava in fabbrica, oppure studiava nelle scuole e nelle università della penisola.  

In seguito la ricorrenza perse la sua carica “rivoluzionaria”, passionale, dimostrando come gli italiani riponessero infine pochissime speranze in un cambiamento politico radicale delle forze che governavano da sempre lo Stato; in uno stravolgimento a favore delle politiche sociali, della tutela dei diritti assoluti dei cittadini e di una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza. Sembrava che l’eredità lasciata dai combattenti aderenti alle formazioni del Comitato di Liberazione Nazionale si fosse persa, facendo lentamente posto nel tessuto comunitario a un senso generale di disaffezione verso la Politica.

Negli anni ’90, dopo una stagione di terremoti giudiziari che prese il nome di Tangentopoli, e grazie pure all’azione del Movimento studentesco della Pantera, una nuova generazione diede slancio alla festa della Liberazione, mentre i testimoni della violenza del regime in camicia nera stavano lentamente venendo meno. La stessa Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) entrava in una fase difficile e si preparava a subire, negli anni successivi, innumerevoli tentativi di scalata al vertice da parte del Pd.

Malgrado tutto, l’Associazione dei Partigiani, i cui aderenti sono oramai gli eredi di seconda generazione dei “Ribelli della montagna”, ha continuato a mantenere il suo importante ruolo nello scenario politico e culturale nostrano, sapendo prendere posizione sulle scelte governative di portata nazionale e di politica estera sfidando coraggiosamente il pensiero dominante.

Oggi, dopo due anni condizionati pesantemente dal Covid e dalle misure sanitarie, l’anniversario del 25 aprile è dedicato alla difesa dei valori sanciti dall’Assemblea costituente, e quindi dei principi riemersi dalla sanguinosa guerra di Liberazione che costò la vita a tantissimi giovani antifascisti.

In un clima segnato da una profonda spaccatura a sinistra, e sotto la coltre di una pesante polemica generata da correnti interne del partito di Letta, l’Anpi scenderà in piazza richiamandosi a uno dei principi più importanti su cui si fonda la Repubblica, ossia la pace. L’articolo 11 della Costituzione non lascia infatti adito a dubbi, seppur il governo Draghi abbia deciso di optare per il suo accantonamento: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Il massiccio invio di armi nel teatro di guerra ucraino equivale a un intervento militare che anziché far tacere le violenze dimostra ogni giorno la capacità di portare nuove distruzioni e morti. La fotografia scattata dalla celebrazione del 25 Aprile 2022 è impietosa nel tratteggiare un Paese che ha perso la rotta, affidandosi a una deriva guerrafondaia per di più priva di lucidità e strategia.

Il bollettino medico inerente la salute delle istituzioni democratiche sentenzia una prognosi drammatica, in cui si evidenzia una patologia in corso e dagli esiti probabilmente fatali. La classe politica, caduta in una continua espressione di unanimità che durante la Guerra fredda sarebbe stata definita “bulgara”, non è in grado di ritagliarsi ambiti di autonomia. Di conseguenza gran parte degli elettori italiani non si sente per nulla rappresentata nelle aule parlamentari. I partiti vivono nella costante consapevolezza di poter governare esclusivamente varando contributi, sul modello delle circoscrizioni metropolitane, e privatizzando tutti i servizi, compresi quelli destinati alla tutela sociale, ma mostrandosi impotenti di fronte a un tasso di povertà in costante crescita.

La settimana “rossa” (così battezzata dalla destra nostalgica) vedrà cortei che si richiamano alla Liberazione e al Lavoro, manifestazioni partecipate da una sinistra spaccata al suo interno come non mai: da una parte i fedelissimi filo Nato, e dall’altra coloro che non rinunciano a invocare un pacifismo garantito dalla necessaria uscita dell’Italia dall’Alleanza atlantica.

Divisioni, ipocrisia in chi detiene il potere, opportunismo politico, deserto ideologico a quanto pare saranno la soffocante cornice di questo 25 Aprile. Toccherà a chi resiste, a coloro che vengono derisi per l’essere al di fuori dell’unanimismo imperante, a chi ha il coraggio di cercare verità non scritte sulle veline ministeriali, ricordare quanto sia costata la Costituzione in termini di vite umane, e come sia facile in un attimo di “distrazione” perdere tutto.  Sarà quindi compito di chi ancora una volta si appella al buon senso, in antitesi alla speculazione economica e alla follia quali regolatori dei rapporti internazionali, affidare al 25 Aprile e al Primo Maggio la diffusione di un inequivocabile messaggio di Pace e Lavoro.

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