Riemerge la "questione sociale"

Prima la pandemia sanitaria e poi gli effetti devastanti della guerra russo/ucraina con un possibile coinvolgimento di molti altri paesi europei e non solo, ripropongono – almeno per quanto riguarda il nostro Paese – una inedita e grave “questione sociale”. I dati sono agghiaccianti e vengono sfornati quotidianamente da vari organi di informazione. Una “questione sociale” che interpella direttamente la politica e ciò che resta dei partiti e che non può non essere affrontata. Quasi tutti, ormai, conosciamo la situazione per quello che è. Ovvero, cala drasticamente il potere d’acquisto delle famiglie, il salario di milioni di lavoratori perde di significato, aumentano in modo vertiginoso i costi delle materie prime, cresce in modo esponenziale il rischio di chiudere migliaia di piccole e medie aziende con conseguenze inenarrabili per migliaia di lavoratori e si allarga il solco delle disuguaglianze tra i cittadini. Con l’ovvia conclusione che aumenta il numero dei poveri, dei nuovi poveri, dei disagiati e di tutti coloro che si sentono ormai ai margini della società e di ogni ipotesi di sviluppo e di crescita.

Di fronte a questo quadro che rischia di aggravarsi ulteriormente, la politica nel suo complesso non può voltarsi dall’altra parte fingendo che i veri problemi sono diversi, ovvero legati solo e soltanto al “nuovo ordine mondiale” o alle questioni di natura geopolitica. Certo, è divertente, nonché molto triste e squallido, ascoltare ogni giorno conduttori televisivi milionari e ospiti di vari talk ricchi o ricchissimi disquisire sulle “nuove povertà”, sulle crescenti disuguaglianze sociali e sui rischi di emarginazione che esplodono nella nostra società opulenta e qualunquista. E si dichiarano pure “preoccupati ed angosciati”. Ma, al di là di questo spettacolo sempre più inguardabile, la nuova ed inedita “questione sociale” potrebbe anche esplodere con rischi, questi sì, incalcolabili per la nostra democrazia e la tenuta delle nostre istituzioni democratiche.

Certo, nel passato i partiti – almeno i grandi partiti popolari – avevano gli strumenti politici e culturali per affrontare il capitolo drammatico delle disuguaglianze sociali, della povertà e della difesa e promozione dei ceti popolari. E questo perché la cosiddetta “sinistra sociale”, di ispirazione cristiana o di altra matrice culturale ed ideale, era ben rappresentata all’interno dei partiti dove non mancavano le intelligenze e il radicamento territoriale capaci di farsi tramite e portavoce delle istanze che provenivano da quei mondi vitali. E, soprattutto, di dare delle risposte concrete – di natura politica e in particolare di natura legislativa – a quelle domande altrettanto concrete e pertinenti. Oggi, purtroppo, di quel patrimonio è rimasto ben poco. La sospensione della politica da un lato a vantaggio della cosiddetta “competenza” dei tecnocrati o degli intramontabili “esperti” della società civile e l’inaridimento culturale e la mancanza di rappresentanza sociale dei partiti dall’altro hanno creato una situazione tale per cui milioni di persone semplicemente non si sentono più rappresentate dalla politica e dalle stesse istituzioni democratiche.

Questo è il motivo decisivo per far sì che la “questione sociale” ridiventi, adesso, centrale nell’agenda dei singoli partiti. In particolare di quei partiti che continuano ad individuare nella difesa e nella promozione dei ceti popolari una delle ragioni decisive della loro presenza nella società contemporanea. Senza rivangare vecchie categorie politiche e culturali. Perché sarebbe quasi puerile, nonché ingeneroso, pensare che oggi solo la sinistra difende le ragioni, le istanze e i bisogni dei ceti popolari. Come quasi tutti ben sappiamo, non è più così. O meglio, non era così neanche nel passato. Basti pensare che una delle ragioni centrali della esperienza della sinistra sociale della Dc di Forze Nuove – quella di Carlo Donat-Cattin, per intenderci – è sempre stata quella di difendere le ragioni, le istanze e le domande dei ceti popolari, in particolare dei lavoratori nelle grandi fabbriche e nelle piccole e medie aziende. Con una posizione sempre conflittuale e polemica con il Pci e con quella che veniva comunemente definita come la sinistra storica italiana.

Ecco perché, al di là dei riferimenti storici, adesso serve una forte e spiccata iniziativa politica che sia in grado di affrontare di petto la “questione sociale” che è scoppiata dopo la pandemia sanitaria e la guerra orientale. I partiti popolari, di conseguenza, non possono più voltarsi dall’altra parte.

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