POST EMERGENZA

Covid, nuovo boom di contagi.
Le Asl rincorrono i medici Usca

In una settimana incremento di 10mila casi in Piemonte, ma resta la regione con minore incidenza. Il pasticcio delle unità speciali sul territorio. Indicazioni troppo blande alle aziende. Picco (Città di Torino): "Inviate mail con offerte per recuperare professionisti"

Si sarebbe potuto e dovuto trattenerli, agendo per tempo in vista del 30 giugno quando, come noto da tempo, medici e infermieri delle Usca avrebbero perso l’ombrello contrattuale previsto dal decreto. Invece, adesso, quei sanitari che hanno agito per due anni sul territorio in prima linea contro il Covid e la cui assenza sta già provocando pesanti conseguenze con i contagi che aumentano vertiginosamente, tocca rincorrerli. 

E non è affatto detto che anche chi, tra i pochi, si è messo da subito a cercare di recuperare questi professionisti per evitare un vuoto sul territorio e un consequenziale aumento degli accessi ai Pronto Soccorso, riesca nell’impresa. “Abbiamo inviato mail con offerte contrattuali libero professionali a tutti i medici che hanno operato nell’ambito dell’azienda – spiega Carlo Picco, direttore generale dell’Asl Città di Torino –. Aspettiamo le risposte”. Se rispondessero tutti positivamente, cosa assai improbabile visto che non pochi avranno già trovato altra sistemazione, all’Asl torinese tornerebbero a lavorare non meno di quaranta medici, “professionisti indispensabili per seguire i pazienti Covid a domicilio, ma altrettanto preziosi anche per coprire quelle pesanti carenze di organico che abbiamo su più fronti, incominciando dal servizio di guardia medica”, osserva Picco.

Quello dell’Asl Città di Torino è però uno dei rari casi in cui si sta agendo in fretta, pur nel ritardo che si sarebbe potuto evitare prevedendo prima quel che sarebbe successo con l’abolizione da parte del ministero di questo servizio e una sua mancata proroga peraltro richiesta dalle Regioni. Nella gran parte delle Asl piemontesi nulla s’è mosso e nulla pare muoversi. Non si può negare che l’indicazione partita dalla direzione regionale della Sanità verso i vertici delle Asl sia stata a dir poco morbida lasciando loro un più che ampio potere discrezionale: “Le aziende sanitarie, in relazione alla situazione epidemiologica e ad integrazione delle modalità alternative già individuate per il proseguimento delle attività, ove il personale presente non sia in grado di assicurare le suddette prestazioni, potranno ricorrere alle forme contrattuali previste dalla vigenti normative”. 

Diverso l’approccio, per esempio, dell’Emilia-Romagna che se indica pur sempre la possibilità di incarichi a tempo determinato per i medici, alle Asl ha messo nero su bianco che “si ritiene opportuno, in via eccezionale e temporanea sino al 31 dicembre, assicurare la presa in carico e il follow up dei pazienti domiciliari”. La differenza emerge anche negli effetti sul campo: “Usca in attività anche domenica”, titolava ieri l’altro il Resto del Carlino riferendo dell’attività delle unità di continuità assistenziale a Bologna e nel resto della regione, anche dopo la scadenza del 30 giugno.

“Le Usca non dovrebbero venire smantellate bensì potenziate di personale e di mezzi. – sostiene Mauro Salizzoni, consigliere regionale del Pd, ma soprattutto per molti anni primario alle Molinette e luminare dei trapianti –. Dall'inizio della pandemia e per quasi due anni siamo stati costretti a inseguire il virus, commettendo sin dall'inizio l'errore di ospedalizzare l'emergenza, mentre il territorio non ha funzionato come argine”. E se l’argine non regge “la situazione nei Pronto Soccorso continua a peggiorare, anche per l’aumento degli accessi di pazienti Covid”, avverte Chiara Rivetti, segretaria regionale di Anaao-Assomed. Per la sindacalista dei medici ospedalieri “si sarebbe dovuto predisporre il territorio, con precise indicazioni ai medici di famiglia, in vista dell’abolizione delle Usca. Cosa che non è stata fatta”.

E proprio dai medici di famiglia, nelle città ma non di meno nelle province, arrivano segnali di fortissima preoccupazione di fronte a una possibilità data dalla Regione – quella di “riassumere” i medici delle unità speciali – ma fino ad ora non attuata dalle Asl. I vertici delle aziende titubano a metter mano alla cassa, guardando più ai bilanci che alle necessità dei cittadini e dello stesso sistema sanitario regionale? Il dubbio c’è e c’è un’unica via per fugarlo: rispondere nei fatti. Tanto più che aggiungere ritardi a ritardi appare sempre più rischioso guardando i numeri dei contagi e dei ricoveri. Il Piemonte gode, oggi, della situazione migliore rispetto a tutto il resto del Paese ed è secondo solo alla Valle d’Aosta per tasso di incidenza: 611,4 casi ogni 100mila abitanti rispetto alla media nazionale di 922,2, l’occupazione di posti letto è al 6,2, rispetto all’11,9, insomma si è lontani da soglie critiche, ma va anche osservato che la scorsa settimana ha visto un aumento dell’incidenza rispetto ai sette giorni precedenti del 58,5% con un incremento di poco meno di 10mila casi.

Cifre alte cui vanno aggiunti quei sempre più numerosi casi non segnalati per evitare la quarantena, pur con poche situazioni cliniche gravi, che tuttavia aumentano la richiesta di assistenza domiciliare, attività che le Usca contribuivano a svolgere insieme ai medici di medicina generale. “Le Usca non vanno eliminate, ma potenziate, per dare una mano ai medici di famiglia che sono stati lasciati da soli”, sostiene Filippo Anelli, presidente nazionale della federazione degli Ordini dei medici. Se poi in Piemonte si prevede il picco dei contagi dalla seconda metà di luglio, il tempo a disposizione delle Asl per rimettere in funzione almeno una parte delle unità speciali è strettissimo.

“Ho già messo in agenda per i prossimi giorni un incontro con i direttori generali – dice l’assessore Luigi Icardi – in cui analizzare caso per caso la situazione e vedere se le Asl stanno facendo tutto quello che è necessario”. E che sarebbe stato opportuno fare in vista dell’annunciata abolizione delle Usca da parte del ministero di Roberto Speranza. Senza lasciarsi sfuggire medici e infermieri, per poi doverli rincorrere.

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