VERSO IL VOTO

"I candidati contano un tubo, si vota seguendo leader e tv"

Ma quale rappresentanza territoriale? Con questa legge elettorale puoi mettere in lista o nei collegi pure un paracarro, tanto a decidere sono solo i vertici dei partiti. E così hanno fatto. Le potenzialità del Terzo Polo. L'analisi del sondaggista Noto

Musi lunghi e sospiri di sollievo, reazioni piccate e sorrisi da grazia ricevuta. La composizione delle liste e le scelte per i collegi uninominali è stata, in tutti i partiti, uno psicodramma, che nessuno dei sommersi e dei salvati ha rinunciato a coprire col velo smandrappato dell’interesse degli elettori. Ma quanto conta, quanto pesa la scelta di un candidato piuttosto che un altro nella decisione di chi il 25 settembre andrà a votare? E la mai tanto invocata, come in questi giorni che hanno preceduto la presentazione delle liste, rappresentanza territoriale quanto conta davvero al momento di tracciare la x sulla scheda?

“Non essendoci voto di preferenza la formazione del consenso negli elettori non avviene sulla base dei candidati a livello locale, ma sulla base dei leader nazionali. Si decide di votare Pd piuttosto che Fratelli d’Italia o viceversa guardando a quel che dicono Giorgia Meloni e Enrico Letta, indipendentemente dai candidati di collegio. Questo, aldilà dell’esempio, vale per tutte le forze politiche”, risponde Antonio Noto, fondatore e direttore dell’istituto demoscopico Noto Sondaggi.

Quindi nessun cambiamento negli orientamenti di voto dopo la presentazione delle liste?  
“Direi proprio che è un elemento irrilevante. Per come è fatta questa legge elettorale il peso dei candidati è prossimo allo zero. I collegi uninominali sono molto ampi tanto da rendere spesso irriconoscibili i candidati e il proporzionale è fatto di liste bloccate. Inoltre il sistema prevede che basta votare il partito per votare tutti i candidati, quindi appare evidente quale può essere l’impatto dei candidati”.

Con questa legge si è già votato, quindi quel che sostiene poggia anche su precedenti.
“È così, basta ricordare che cinque anni fa vennero eletti nei collegi uninominali canditati dei Cinquestelle che nessuno conosceva e nessuno conosce dopo cinque anni di legislatura”.

Con questi presupposti che campagna elettorale sarà? Scarsa sul territorio e molto concentrata su televisione e social? 
“Sarà una campagna elettorale in cui la televisione conterà ancora molto, poi i social. In tutti i casi si tratterà di una campagna nazionale, i temi sono nazionali”.

Come si spiega la tanto invocata rappresentanza dei territori, denunciata come tradita specie da parte degli aspiranti candidati che non hanno ottenuto il posto che speravano di avere? 
“La rappresentanza dei territori è un problema della classe politica non degli elettori. Dietro, quasi sempre, ci sono lotte interne ai partiti per posizionarsi”. 

Hanno fatto molto rumore l’esclusione di Gabriele Albertini e la rinuncia di Federico Pizzarotti, due candidature di peso nel Terzo Polo. Nel pagherà le conseguenze?
“Ma quanto contano Albertini e Pizzarotti nella formazione del consenso? Torniamo alle considerazione che abbiamo appena fatto. I candidati contano davvero poco, anche in questo caso”. 

Lei aveva indicato la bontà della scelta di Carlo Calenda e Matteo Renzi di correre da soli, evitando alleanze. Come vede il Terzo Polo alla prova del voto?
“Diciamo che è una novità nel mercato elettorale e questo lo potrebbe rendere attraente. Adesso bisogna capire quanto lo può essere, certamente ha una potenzialità anche di raggiungere la doppia cifra. Ma parliamo di potenzialità, non è detto che riesca ad avere l’appeal necessario”. 

Ha fatto bene Renzi a fare un passo di lato lasciando la leadership elettorale a Calenda?
“Sì, ha fatto bene, ha avuto come spesso intuito politico. Renzi sa di essere una persona che gode di molti pregiudizi e quindi ci sono più persone che non lo amano che non il contrario. Quindi un partito solo suo avrebbe avuto una crescita bloccata, con Calenda le cose potrebbero andare in maniera diversa”.

E Calenda come si sta muovendo?
“Abbastanza bene perché rappresenta l’unica novità del mercato elettorale, però non so quanto valga fare la voce grossa. Gli italiani vogliono essere rassicurati e non so quanto Calenda sia rassicurante”.

Indicare il ritorno di Mario Draghi a Palazzo Chigi come obiettivo può essere un messaggio forte, vincente?
“Però questo lo dice anche un po’ il Pd, anche se ha tra i suoi alleati la sinistra che è stata contro Draghi. Credo che Calenda dovrebbe individuare temi che non deve condividere con altri partiti. Non penso che oggi un partito possa fare la campagna elettorale su Draghi, soprattutto in uno scenario in cui Draghi non è sceso in campo. Il terzo polo si deve differenziare di più rispetto agli altri due”. 

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