Democrazia rassegnata

È sempre più difficile analizzare i fatti politici nostrani mettendo una certa dose di ironia nel farlo. La stessa satira sembra aver rinunciato a prendere in giro il potere e il governo. Tutto quello che decide l’esecutivo è oramai ammantato da una sorta di cupa, inquietante, “intoccabilità”.

Molto faticoso è anche imbattersi in notizie oggettive, diffuse tenendo presente la verità e soprattutto la dignità del pubblico, sia televisivo che della carta stampata. Alla pessima qualità dell’informazione si aggiunge la gran quantità di non detto, di eventi mai giunti all’onore della cronaca malgrado la loro importanza. Scompaiono dall’orizzonte delle news le crisi aziendali, i licenziamenti, la povertà e tutti i limiti dell’azione statale: l’Italia si trasforma in tal modo in un Paese fantastico.

Un esercito di giornalisti è impegnato nel rassicurare costantemente sui temi della guerra, della crisi energetica, della pandemia, seppur alternando toni paterni con distribuzione di puro terrore. Una cinica doccia scozzese che in genere lascia interdetti, gettandoli nel panico, tanti cittadini.

La nazione vive da anni in un clima costante di conflitto bellico. Tutto è iniziato con la censura totale nei confronti di coloro che non volevano allinearsi con parte delle politiche di contrasto al virus, e la costruzione del nuovo consenso collettivo è proseguita puntando le baionette contro il nemico di sempre, ossia quella Russia che si sperava messa in un angolino dall’opera autodistruttiva attuata dal Presidente Eltsin.

La retorica è diventata nel tempo la quotidianità, mentre la trasparenza è scomparsa dall’orizzonte della pubblica amministrazione. In barba alla legge fondamentale, la Costituzione, siamo di fatto uno Stato guerreggiante, pronto a imporre una serie di sacrifici “iniziali” ai propri abitanti tramite il solito percorso normativo assai vacillante, poiché illegittimo.

Gran parte degli atti governativi varati in questi ultimi anni deriva da decreti (non da norme di legge) mai interessati da aggiustamenti che tenessero conto del volere popolare.  La prassi consolidata è oramai quella di votare partiti e individui sulla base di programmi elettorali, per poi riscontrare amaramente come ad urne chiuse cambino tutti i propositi annunciati a gran voce sulle piazze. Un attimo dopo l’insediamento delle Camere espresse dal voto, le posizioni politiche dei neodeputati si ribaltano. Il dissenso, a quel punto, non è tollerato dal premier nominato dalle segreterie dei partiti di maggioranza e la linea decisa non è mutabile per alcun motivo.

Espliciti in tal senso gli onorevoli appartenenti alle fila dei conservatori londinesi, i quali hanno rimarcato recentemente, e senza nessuna esitazione, l’intoccabilità dei valori ultraliberisti legati all’attività di impresa. In sintesi, i Tories sono fermamente convinti che l’aumento delle bollette sia inevitabile, per cui dichiarano la non competenza statale sul caro luce e gas. Le aziende, secondo i politici eredi della Thatcher, possono fare ciò che vogliono: privatizzare significa quindi applicare la legge del più forte anche nel campo dei servizi essenziali.

Parigi, contemporaneamente, invita i francesi a sopportare qualche privazione con lo scopo di proteggere la libertà. Uffici pubblici meno caldi d’inverno per la tutela dell’esercizio di un nobile diritto assoluto, ma di quale libertà si parli non è chiaro, come ha dimostrato il trattamento riservato dalla polizia parigina al movimento dei “Gilet gialli”. Due anni fa, la repressione di Macron è costata una crisi internazionale nei rapporti franco-italici, grazie a un ministro Di Maio schierato pubblicamente con la piazza che protestava: per fortuna tutto è rientrato in poche settimane e l’ex esponente 5 Stelle, alla fine, ha messo la testa a posto.

A Torino, nei giorni scorsi, i neonazisti nostrani hanno tracciato la svastica su una lapide che intesta un giardino a Tina Anselmi. L’indignazione (sacrosanta) delle istituzioni è stata assoluta, seppur non del tutto coerente con l’invio disposto dal governo, e che va avanti da mesi, di tantissime armi a brigate internazionali che hanno la croce uncinata disegnata sulle bandiere. In questi ultimi tempi, inoltre, abbiamo scoperto che gli italiani, così almeno si narra su quotidiani e nei bar, sarebbero disposti a combattere pur di non lasciare il Trentino all’Austria. Un esempio oramai da manuale, poiché usato in tante discussioni sulla guerra in corso ad Est, che richiama a un nuovo Risorgimento in cui noi tutti potremmo gettare con gioia i cuori oltre le trincee.

L’arroganza del potere politico ha toccato punte davvero inedite, almeno sino ad oggi. Il 25 settembre saremo chiamati ad eleggere una super élite, la quale probabilmente si rivelerà ancora una volta incapace di imporre la linea programmatica al governo che si insedierà nelle settimane seguenti.

L’autunno in arrivo si annuncia dispensatore di poche letizie collettive. Non sarà “caldo” (come alcuni opinionisti affermano) ma piuttosto “rassegnato”. L’astensionismo annienterà la democrazia, però non turberà il sonno di chi entrerà in Parlamento a nome di tutti, pur legiferando, poi, solo per sé stesso.

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