Tra pubblico e privato

Pragmatismo, razionalità, ottimizzazione delle esigue risorse pubbliche, impegni economici indirizzati esclusivamente a far cassa: da troppo tempo la politica mostra il volto severo, e privo di fantasia, del contabile spietato, del ragioniere inflessibile.

Gli elettori vengono chiamati periodicamente alle urne per eleggere i candidati più bravi a far rispettare il piano di stabilità, e soprattutto chi è attento a non deludere le aspettative di JPMorgan, facendo in compenso versare lacrime amare ai propri concittadini. Per molti neodeputati tutte le voci dei capitoli di bilancio in uscita saranno rubricate ancora una volta a “sprechi”, tranne naturalmente i favori clientelari. Il nuovo governo dimostrerà, come sempre nell’ultimo decennio, inflessibilità assoluta di fronte a qualsiasi richiesta che riguardi un bene monumentale da salvare, oppure un ospedale da mantenere aperto, palesando forse qualche timido interesse quando potrà spendere la parola “Valorizzazione”.

Trasformare, infatti, pezzi importanti della nostra Storia in parchi giochi, o in sedi destinate a grandi eventi, è l’ultima speranza rimasta a disposizione di chi difende la Cultura, mentre per la Sanità è oramai chiaro lo straziante sacrificio alla privatizzazione (al Dio Denaro).

Di questi tempi, pretendere di voler innalzare il livello di conoscenza delle persone è atto utopico, e neppure esiste manovra di spazio per tutti coloro che domandano alle istituzioni un impegno economico per proteggere Natura e Bellezza. Solo il denaro prodotto dall’industria turistica su larga scala trova riscontro in una politica distratta, e sovente vittima dei numerosi tagli all’istruzione decisi dagli anni ’80 in poi.

Tutela dei beni comuni e trasparenza amministrativa sono temi scomparsi dal dibattito pubblico, malgrado fossero al centro dei programmi delle cosiddette “Giunte rosse” di Novelli e Argan (per citare alcuni tra i tanti sindaci social-comunisti dell’epoca); proposte di partecipazione attiva trasformate al massimo in vane promesse elettorali o, peggio, in difficili battaglie di retroguardia.

Chiunque accenni alla necessità di salvaguardare il patrimonio artistico italiano è messo alla gogna, al ludibrio pubblico, con un cartello appeso al collo che recita: “Inutile sognatore”. “Non ci sono soldi”, “Mancano risorse a causa dei tagli centrali”, sono le risposte indirizzate dagli esecutivi locali e centrali ai sottoscrittori di appelli indirizzati alla salvaguardia di siti archeologici, ai sostenitori dell’arte quale strumento di crescita collettiva, a chi chiede assistenza sanitaria capillare sul territorio.

Istruire è, a quanto pare, una pericolosa perdita di tempo: le persone colte sono meno inclini a credere alle bugie di Stato e dei suoi detrattori (incluse quelle dei neoborbonici). Quale torinese amico da sempre della Val Chisone, il pensiero corre a Pracatinat.

Il sanatorio voluto dalla famiglia Agnelli, destinato a curare gli operai che si ammalavano di tubercolosi, è stato chiuso negli anni ’80 e venduto immediatamente al pubblico. In poco tempo l’ex sanatorio è diventato un punto di riferimento importante per le scuole della Regione, un luogo immerso nel verde dove gli studenti potevano imparare l’educazione ambientale passeggiando per i sentieri del meraviglioso Parco Orsiera. Purtroppo, lo sforzo delle istituzioni dell’epoca è stato vanificato in seguito alla decisione di vendere (qualcuno dice “svendere”) le palazzine a un imprenditore, il quale le ha trasformate in albergo destinato ad accogliere i cosiddetti Vip. 

La vergognosa speculazione che ha colpito in questi mesi (da molto prima della guerra in Ucraina) il gas, i libri scolastici e parecchi generi alimentari, dovrebbe insegnare qualcosa a tutti i candidati alle vicine elezioni politiche. Lo Stato deve fare la sua parte, non può limitarsi ad essere un patetico erogatore di finanziamenti senza poter regolare in alcun modo i fattori economici. Privato e Pubblico devono convivere, ma nella consapevolezza che ciascuno debba rivestire un ruolo ben preciso: il primo fare profitto in un contesto di libera concorrenza, il secondo invece difendere il proprio patrimonio e la collettività da qualsiasi aggressione, garantendo a quest’ultima dignità e servizi essenziali non incentrati sulla regola dello spietato accumulo di guadagno economico.

Speranza vana guardando a un prossimo Parlamento i cui scranni saranno occupati da una super élite, pronta (come da prassi) a proteggere e sostenere esclusivamente gli interessi corporativi di chi l’ha espressa.

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