Letta e il bluff della dittatura

Dunque, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali comparse sugli organi di informazione, “l’allarme democratico” lanciato dal segretario del Pd Letta nei giorni scorsi se vincessero il centrodestra e la Meloni, è già cessato. Non si conoscono ancora le motivazioni politiche, ma da ieri l’allarme fascismo pare non ci sia più. E questo ci fa tirare un sospiro di sollievo. Però, scomparso il rischio dittatura, adesso – sempre secondo il Nostro – l’emergenza è che il centrodestra vuole “cacciare Mattarella”. Ad oggi non sappiamo per quanti giorni durerà questa nuova ed ennesima emergenza ma, aggiunge sempre Letta, adesso però non si deve più votare né il partito di Renzi e di Calenda e né, tantomeno, il partito di Conte se si vuole salvaguardare la democrazia. Che, detto fra di noi, sino a poco tempo fa era “il punto di riferimento politico più autorevole dell’area progressista” nel nostro Paese. E, non a caso, proprio il populista Conte adesso si fa interprete oggi di quell’area politica e di quel mondo culturale.

Ora, al di là delle emergenze che ogni 4/5 giorni denuncia pubblicamente Letta – cosa del tutto legittima dal suo punto di vista – l’unico dato politico vero che emerge è che quando si usano parole drammatiche e cariche di enfasi occorre sempre stare molto attenti. E non solo perché le parole dovrebbero avere ancora un senso e un peso – anche se in epoca di trionfante populismo e di galoppante trasformismo politico e parlamentare tutto è, purtroppo, ormai lecito e ammesso – ma anche e soprattutto perché un politico quando indica delle “emergenze” che possono mettere in discussione le sorti democratiche del nostro paese debbono essere il più possibili vere e realmente corrispondenti a ciò che capita nella nostra società.

Certo, la denuncia di Letta è sufficientemente vecchia per essere presa seriamente in considerazione. È dal secondo dopoguerra, infatti, che la sinistra italiana nelle sue multiformi espressioni denuncia il rischio di un potenziale ritorno di un passato dittatoriale e para fascista ogniqualvolta si avvicinano le elezioni nazionali. È stato così per tantissimi anni con la straordinaria esperienza democratica, costituzionale e di governo esercitata dalla Democrazia Cristiana; è stato così con Berlusconi e Bossi; è stato così con Salvini; è stato così addirittura con Renzi ai tempi del referendum; e non poteva che essere così adesso con la Meloni e la possibile vittoria del centrodestra. Una concezione, questa, che risente anche di una concezione della politica italiana ispirata al cosiddetto “bipolarismo selvaggio”, ovvero di un filo rosso che punta ad annientare e distruggere l’odiato avversario/nemico politico. Una concezione che non ammette posizioni terze e che non tollera diversivi dai due campi politici radicalmente alternativi. Da qui deriva anche, oggi, la profonda avversione nei confronti di tutti coloro che politicamente si differenziano dai due campi che si combattono ferocemente l’un contro senza esclusione di colpi.

Ecco perché, infine, la semplice lezione politica che emerge – al di là di come ogni partito gestisce e pianifica la sua campagna elettorale – è che quando si parla di “emergenza democratica”, di ritorno del fascismo – cioè di una stagione drammatica, violenta, nefasta ed indicibile per il nostro Paese –, di dittatura, di strategia illiberale e sovversiva e via discorrendo è sempre bene essere prudenti. Anche perché può capitare che prima lanci il drammatico allarme e poi lo ritiri dopo pochi giorni. E quindi delle due l’una: o l’allarme era un annuncio folkloristico oppure era dettato solo da ragioni propagandistiche. E proprio perché si parla di temi delicati e di grandissima importanza politica, culturale e storica, è ben non scherzarci sopra. Per nessun motivo al mondo, anche quando si affronta una difficile e complicata campagna elettorale.

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