Il Pd smetta di inseguire la Cgil (che tanto non lo vota)

Ultimamente, grazie alla campagna elettorale, la politica riesce ancora a stupirmi, e purtroppo non in senso positivo. Il vicesegretario del Pd viene a Torino e dice che il partito ha sbagliato in questi anni nei confronti dei lavoratori ed è ora di rimediare. Cita, tra gli errori, il jobs act e le pensioni e rilancia il salario minimo a 9 euro, il reddito di cittadinanza e invoca l’applicazione della riforma del lavoro spagnola.

Va bene che siamo in campagna elettorale e si può dire tutto e il suo contrario ma riflettere sugli effetti delle proprie affermazioni sarebbe d’obbligo. La realtà che gli operai non votino più in massa a sinistra e il Pd è vera ma pensare che si possano recuperare i voti operai affiancandosi alle scelte sindacali di una parte del sindacato che tendenzialmente non vota più Pd e negli ultimi vent’anni ha sempre detto no ha tutto è un’illusione narrativa non la realtà.

Intanto perché se è vero com’è vero che negli ultimi vent’anni l’area cislina ha compiuto sul lavoro scelte coerenti e responsabili con quelle del Pd, è altrettanto vero che se il Pd si sposta sulle posizioni sindacali del “No a tutto” non è automatico che l’area cislina rimanga fedele nel voto.
Oltretutto invocare, come fa una parte del Pd, l’unità sindacale e poi orientarsi con l’ala radicale del sindacato che non ha firmato, dal 2001 a oggi, né i Contratti nazionali, né gli accordi Fiat prima e Fca poi, significa, di fatto, sconfessare l’unità sindacale per scegliere un pezzo solo di sindacato.

Significa anche non capire che l’orientamento in larga parte degli operai, verso la Lega e Fratelli d’Italia, nasce da quel populismo di sinistra che ha permeato per anni, dal 2001 con la scelta movimentista di Sabatini, le politiche sindacali dei metalmeccanici della Cgil e non solo. Basti pensare alle “oceaniche” adunate romane della Cgil che poi non hanno portato risultati concreti disamorando in primis i militanti e poi i lavoratori dal sindacato in generale e che di conseguenza si sono spostati dal populismo di sinistra a quello ben più efficace di destra. Oltretutto cambiare “cavallo politico” a ogni elezione – da Rifondazione, ai grillini, passando per Italia dei Valori e Rivoluzione civile – hanno confuso i lavoratori che alla fine hanno scelto il populismo di chi a ogni elezione promette di cancellare la Fornero o il Jobs Act, promesse fatte dalla sinistra sindacale radicale e dalla Lega. Tutto finito in un nulla di fatto. Anzi anche nei Contratti firmati poi dal 2016 in avanti c’erano i contenuti che erano stati dileggiati per anni da questa parte sindacale. Ed è proprio questa incoerenza che il Pd rincorre a portare i lavoratori verso il populismo.

Per anni, nelle assemblee con i lavoratori, mentre noi cislini spiegavamo con mille difficoltà le scelte difficili del sindacato (quando firmavamo i Contratti nazionali o quando c’erano accordi con il Governo, e anche quando gli accordi non c’erano come con il varo della Legge Fornero) il sindacalismo radicale, a cui oggi si rivolge il Pd, non parlava mai di contenuti ma invocava sempre e solo il referendum.

Per anni, abbiamo avuto un sindacalismo radicale che non ha parlato di contenuti ma ha “battuto il ferro”, demagogico e populista, della democrazia diretta e referendaria; rifiutando il concetto della democrazia delegata. D’altra parte perché li abbiamo chiamati delegati sindacali i lavoratori eletti dai colleghi a rappresentarli? Quegli anni inconcludenti di populismo sindacale hanno allontanato i lavoratori dalla sinistra. E ora i vertici nazionali del Pd pensano che “due dichiarazioni” in cui si abiura la storia recente del Pd sulle scelte fatte in tema di lavoro bastino per riconquistare l’elettorato operaio insieme a qualche comparsata sui palchi delle feste per cancellare la propria storia e le proprie scelte? Storia e scelte riformiste come nella più ampia tradizione del socialismo europeo e in continuità con quella terza via che ricercò Enrico Berlinguer fatta di riformismo e incontro tra le culture del cattolicesimo democratico e le esperienze socialiste e comuniste.

Se c’è un motivo vero, non la narrazione fantastica in uso a sinistra, per cui il Pd si è allontanato dai lavoratori è stato il non essere capace, avendo oltretutto chiuso i luoghi fisici di confronto, di spiegare le  proprie scelte. Dalla Legge Fornero, non condivisibile ma senza alternative credibili, al Jobs Act che non ha cancellato l’articolo 18 perché era già stato fatto dalla Legge Fornero sostenuta da tutti i partiti. 

Tutto ciò premesso voglio chiedere al gruppo dirigente del Pd se ha fatto questa analisi: la realtà, non la splendida narrazione a sinistra, dice che il popolo cislino è più vicino al Pd rispetto alla Cgil, mentre la sinistra sindacale della Cgil rinfaccia al Pd di avere abbandonato i lavoratori. Quanti voti pensa di avere acquisito nell’ala radicale del sindacato e quanti pensa di averne persi dentro il mondo sindacale che ha condiviso con senso di responsabilità la storia governativa del Pd e di tutti i suoi segretari? Al 25 settembre l’ardua sentenza.

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