Confini e limiti dell'Europa

Il viaggiatore che fa il pieno alla macchina dopo aver varcato il confine e paga la benzina 1,38 euro al litro, anziché un prezzo che in Italia si colloca tra 1,60 e 1,95 euro, è colto normalmente da un forte senso di stupore. Allo stesso modo è sbalordito quando constata come, al di là delle Alpi, i supermercati siano rifornitissimi di acqua gassata, anche nelle settimane in cui in patria le bollicine sono scomparse dagli scaffali. Diventa inoltre motivo di confusione confrontare gli aumenti delle bollette energetiche nostrane rispetto a quelli delle nazioni confinanti: rincari molto distanti dal 300% a cui sono sottoposte, ad esempio, le utenze di Torino (alcuni esercizi pubblici pagano orami addirittura il 400% in più). È curioso, oltre a tutto, verificare che al di fuori dei nostri confini il prezzo di copertina dei testi scolastici non ha subito ritocchi destinati a pesare negativamente sui bilanci familiari.

Il disorientamento, per chiunque sia attento al tema della difesa del patrimonio culturale, giunge infine nel constatare, all’estero, la presenza dello Stato nel recupero e nella promozione di castelli, fortezze, siti di rilievo storico, biblioteche e musei. Insomma, viaggiando nel primo anno post emergenza Covid viene da chiedersi in quale Europa si viva, e quali siano le ragioni di tante differenze nella vita quotidiana dei cittadini residenti nei diversi Stati appartenenti all’Unione. 

Il dubbio che si fa strada, soprattutto in coloro che osservano il contesto dei Paesi stranieri, è quello di vivere in uno Stato in cui il Pubblico ha letteralmente rinunciato al ruolo che gli riserva la Costituzione; un’Italia che senza esitazioni arretra lasciando spazi immensi al mercato, al business puro. Sembra incredibile la trasformazione subita dalla nostra nazione in pochissimo tempo, come in pochi anni la solidarietà sociale sia sparita dall’orizzonte parlamentare, e tutte le scelte politiche si rapportino quindi esclusivamente con Spread e indici di borsa. Nessuna riforma, nessuna azione legislativa può prescindere dal consenso degli speculatori che operano sui mercati: gli stessi fondi erogati dal Pnrr raramente sono distribuiti in seguito alla valutazione di criteri incentrati sulla coesione sociale. Su ogni cosa regna il profitto, sia nelle scelte inerenti il recupero dei beni culturali, sia in ambito sociosanitario e di riqualificazione urbana.

Tutto è business, dal lettino collocato su una spiaggia demaniale, pagato alla medesima tariffa del pernottamento in un B&B, all’affitto di un campetto da calcio comunale di periferia che sovente garantisce ampi profitti al gestore di turno.

In realtà non si parla neppure più di interventi nelle periferie urbane. I tempi segnati positivamente dai progetti “Urban” sono oramai un pallido ricordo. Le Città Metropolitane annaspano, così come le casse comunali, mentre le spese destinate agli armamenti militari hanno subito una vera e propria gigantesca impennata.

Solo recentemente i media si sono accorti delle difficoltà in cui incappano molte persone nel pagare le rate del teleriscaldamento. Articoli scritti da giornalisti attenti narrano di avvisi di sospensione del servizio nei confronti dei cittadini morosi, seppur debitori incolpevoli. Tutto questo mentre l’istituzione europea vara importanti misure di razionamento dell’energia, dimenticando però al contempo di affrontare il tema di porre un tetto massimo al costo del gas: tema inviso alle multinazionali statunitensi (vicine alla famiglia Biden) e agli olandesi. In altri termini, quest’inverno le nostre città saranno al buio al calar del sole e il costo dei beni di prima necessità continuerà a salire.

Andiamo incontro a un’esistenza quotidiana che si rapporta costantemente con la guerra, ma questa volta senza udire cori di voci dissidenti. Un cammino verso il baratro affrontato con grande leggerezza, poiché il suo percorso è privo di qualsiasi serio ostacolo politico. Cento anni fa i sentimenti nazionalisti furono la causa di un conflitto mondiale che costò la vita a milioni di persone. Oggi quegli stessi sentimenti sono protagonisti dello scenario politico europeo. Rancori lasciati liberi di crescere, addirittura sostenuti con l’invio di armi, tramite lo schierarsi dei leader del vecchio Continente con il desiderio sciovinistico ritenuto più vicino ai propri valori ultraliberisti.

L’ideologia dell’ultra libero mercato solitamente mal si coniuga con quella patriottica, specialmente se vicina ai desideri di pulizia etnica. Sono “valori”, o meglio “disvalori”, che in teoria non dovrebbero mai trovare una sintesi comune, a meno che si trasformino nelle basi fondanti di una globalizzazione imperialista.

Da un lato la realtà, ossia una situazione difficile che potrebbe essere il preludio di gravi tensioni sociali, dall’altro una campagna elettorale dai temi talmente semplici che in molti casi diventano quasi infantili. In mezzo, un popolo conscio di non avere davanti a sé alcuna prospettiva, poiché al centro dell’interesse esclusivo di un pugno di speculatori.

A cent’anni dalla Marcia su Roma, la Democrazia è chiamata a reggere ma senza che nessuno le dia un aiuto concreto per farlo. Parlare della guerra in corso, come fatto recentemente dalla Ursula von der Leyen, facendo leva sul principio dell’aggressione alla nostra cultura, alla nostra economia e ai nostri interessi è indice di una svolta importante della politica europea. Bruxelles ha avviato una visione espansionistica, anche militare, dei propri confini: l’oligarchia ha deciso per tutti noi, in barba a quella che avrebbe dovuto essere invece (secondo le dichiarazioni dei leader italiani) la nuova Europa solidale e del welfare a tutela dei più deboli.

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