Il Centro sia (anche) popolare

Carlo Calenda usa ripetere in quasi tutte le sue interviste pubbliche che il futuro soggetto politico di centro sarà ancor più credibile nella misura in cui riesce a contemplare al suo interno svariate culture politiche. A cominciare da quella “liberale, repubblicana e popolare”. Unite tutte da una chiara e visibile cifra riformista e di governo. Una affermazione indubbiamente importante perché ricorda molto l’esperienza della Margherita che nei primi anni duemila rappresentò una novità significativa nella geografia politica italiana nel campo del centrosinistra dell’epoca. Ma è altrettanto indubbio che, per fermarsi a ciò che dice pubblicamente e ripetutamente Calenda, la componente popolare dev’essere realmente visibile nel nuovo e futuro soggetto politico. Perché se il risultato elettorale del 25 settembre tutto sommato è stato positivo ed incoraggiante, è pur vero che non può essere solo l’approccio liberal/repubblicano quello egemone e politicamente più pregnante del partito. Che, del resto, è anche quello più funzionale alla cultura e al profilo politico di Calenda. Non a caso, i commentatori più avveduti e dopo il risultato elettorale, già parlano del partito di Renzi e di Calenda come di un “partito repubblicano di massa”. Un giudizio certamente importante ma politicamente e culturalmente monco e parziale. Almeno secondo il mio parere e di molti altri. Ecco perché, allora, se si vuole andare incontro a ciò che dice pubblicamente Calenda, è necessario affrontare, e risolvere, almeno due nodi centrali che sono e restano sul tappeto.

Innanzitutto, la presenza cattolico popolare e cattolico sociale deve essere presente, e di conseguenza, visibile nel partito e nelle istituzioni di rifermento. Proprio per evitare che il tutto si riduca ad essere una enunciazione del tutto astratta se non addirittura virtuale. Una presenza, cioè, fatta di donne e di uomini che sappiano contribuire efficacemente a costruire il progetto politico del partito e a definirne il suo profilo culturale e ideale.

In secondo luogo, il futuro partito di centro, dopo il risultato scaturito dalle urne e i relativi gruppi unici in Parlamento, non potrà che essere plurale al suo interno. Sotto il profilo culturale, come ovvio. Un soggetto, cioè, che sappia elaborare il proprio progetto politico e la propria ricetta di governo attraverso la compresenza e la compartecipazione delle culture fondanti. Compresa, quindi, anche quella cattolico popolare e cattolico sociale. Del resto, oltre ad essere un soggetto politico plurale – simil Margherita, come abbiamo detto poc’anzi – è evidente che un partito di centro che fa del riformismo e della cultura di governo la sua cifra distintiva, non può non avere al suo interno una radice culturale popolare e marcatamente sociale. E, su questo versante, solo la cultura popolare e sociale di ispirazione cristiana può offrire una risposta credibile e convincente.

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