Anni da incubo

Anni da incubo. Dal gennaio 2020 ad oggi, ottobre 2022, si sono susseguiti eventi di una gravità tale che occorre andare molto indietro nel tempo per trovarne altri simili. Gli anni ’20 del secolo scorso sembrano volerci ricordare che la Storia lascia un bagaglio pieno di conoscenza alle generazioni future. Purtroppo, un gran numero di cittadini non conosce il passato (a causa di una cronica carenza di interesse nei suoi confronti), per cui non è in grado di fare tesoro delle esperienze generate dagli errori degli avi. A vicende che si ripetono seguono sbagli, sovente identici a quelli che già nei tempi lontani causarono tragedie e distruzione.

La quiete dell’esistenza quotidiana, seppur solo apparente, è stata spezzata dal giungere (più o meno improvviso) del virus pandemico. Il Covid è stato spesso paragonato alla Spagnola, malattia infettiva causa di milioni di vittime nei primi decenni del Novecento, ma facendolo si è pensato con ottimismo a un sistema sanitario moderno e in grado di reggere senza troppi problemi a una forma influenzale capace di trasformarsi talvolta, nel giro di pochi giorni, in una polmonite dagli esiti letali.

La prova dei fatti ha dimostrato invece come tagli al bilancio e drastica riduzione dei posti letto negli ospedali, pianificata negli anni e a favore del sistema privato, abbiano portato alla crisi del sistema sanitario regionale. Evitare i contagi per schivare i ricoveri è stata la parola d’ordine delle istituzioni, mentre i medici e il personale ospedaliero venivano sottoposti a uno stress incredibile per sopperire alle carenze del complesso pubblico. Eppure, in un quadro come quello che ha caratterizzato tutto il 2020, degno dell’inferno dantesco, non poteva di certo mancare la speculazione. Cinici figuri sono riusciti, infatti, a far cassa su tutto: dalle mascherine, i cui prezzi sono volati alle stelle sin da inizio pandemia, ai camici; dai prodotti igienizzanti alle siringhe, passando per lo scandalo del business dei respiratori (di cui forse pochi lettori si ricordano).

Il Covid ha ucciso, oltre a tante persone, lo stesso sistema sanitario pubblico, ma stranamente ha voluto risparmiare quello privato che, al contrario, è addirittura rifiorito. Ma tutto passa, e la memoria collettiva, superata la tragedia, tende a resettare i brutti ricordi per poter far spazio al vuoto creato dall’oblio. Il tempo di prendere un po’ di fiato, di godere di un ritrovato consumismo, ed ecco arrivare la siccità con il suo bel carico di pressione mediatica, nonché di ghiotti profitti per qualcuno. Quest’estate la frutta e la verdura, pagate poco niente agli agricoltori, si sono trasformate così in prodotti esclusivi per ricchi. Il razionamento dell’acqua (rimasta un bene comune) non ha comportato invece rincari nelle bollette degli utenti, ad esclusione di qualche ritocco al prezzo di quella imbottigliata grazie alle concessioni demaniali, fornendo uno spunto di riflessione su cosa sarebbe accaduto nel caso si fosse giunti in passato alla sua privatizzazione.  

Durante il periodo di secca, e di temperature sahariane, si è cronicizzato il conflitto bellico, esploso dopo otto anni di “perfetta” incubazione nell’Europa orientale. La guerra ha dato ancora maggiore consistenza all’incubo già materializzatosi nei mesi precedenti: la voglia “interventista”, dichiarata da gran parte della politica e dai media, ha estirpato il timido germoglio del ritorno alla quiete. L’invio di armi da parte dell’Europa e la costante esibizione muscolare, simile al gioco da caserma di chi ha l’attributo maschile più grosso, ci hanno fatto intraprendere una strada in apparenza senza ritorno, esattamente come nel 1914.

In questo catastrofico evento non potevano mancare i profitti facili, e miliardari. L’industria delle armi ha decisamente moltiplicato i suoi incassi anche in Italia, e i distributori di energia e gas hanno potuto alzare l’asticella di una speculazione in corso già da qualche anno. L’ENI, che ricordiamo essere una partecipata del nostro Stato (il quale ha potere di controllo sulla società stessa), ha comunicato utili per oltre 7 miliardi, al contrario di tante famiglie e imprese che denunciano ogni giorno nuovi dissesti economici e fallimenti a causa dei costi fatturati in bolletta.

Enrico Mattei, fosse ancora vivo, sarebbe come minimo disorientato di fronte alla trasformazione dell’iconico cane a sei zampe, immagine familiare e confortante sino al 1992, in mostro aggressivo, ma al contempo sorriderebbe valutando i frutti di una situazione talmente paradossale da impedire (fortunatamente) all’Italia di camminare sui campi di battaglia. La speculazione, infatti, è molto più efficace dell’articolo 21 della Costituzione. “L’Italia ripudia la guerra […] come mezzo di risoluzione delle controversia internazionali […]”: un dettato tradito puntualmente dalla politica, ma rispettato strumentalmente dal Mercato. La globalizzazione e il consumismo “ripudiano” il confronto armato internazionale al pari della Carta fondamentale; per molti settori industriali infatti la chiamata alle armi significa un crollo certo degli affari.

Lo stato di belligeranza totale porterebbe sicuramente alcune industrie verso un aumento sconsiderato dei propri introiti (come del resto già avviene), ma al contempo finanza e capitalismo “mordi e fuggi” (gli esclusi iniziali) pretenderebbero la loro fetta di guadagno, esattamente come coloro che sin da subito godono i profitti derivanti dalla guerra. Ai primi colpi di cannone, ai primi missili in arrivo, la corsa per accaparrarsi i beni di prima necessità soddisferebbe le mire di chi vuol fare soldi, per cui aumenterebbe a dismisura il prezzo di qualsiasi cosa, e si genererebbe una crisi che porterebbe al collasso la nostra società nel giro di pochissimo tempo. Già in queste ore viene da chiedersi come si rialzerà il Paese dopo la stangata dei prezzi di gas e luce, aumenti che hanno iniziato a essere presupposto di licenziamenti, chiusure di aziende e morosità diffusa nei condomini. 

Ad ogni modo i brutti sogni possono essere interrotti in qualsiasi momento, basta svegliarsi ed aprire gli occhi. Senza paura.

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