Si fa presto a dire transizione

Transizione all’elettrico dell’auto si fa sul serio? Nei giorni scorsi Parlamento e Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo per vietare la vendita di auto di nuova immatricolazione a benzina o diesel – quindi anche le ibride e gpl – nei Paesi dell’Unione Europea a partire dal 2035. Siamo nell’ambito del pacchetto Fit for 55 che ha l’obiettivo di ridurre le emissioni nocive per giungere alla neutralità climatica entro il 2050.

Sicuramente si ridurrà l’effetto inquinamento, ma proprio uno degli elementi più cari all’ambientalismo, come il vento, ci portò nel 1986 le conseguenze di Chernobyl e nel 2011 di Fukushima. Non possiamo coprire l’Unione Europea con una cupola di vetro. Siamo nel campo delle politiche di adattamento, come spiega il professor Bruno Carli dell’Accademia dei Lincei, non certamente nelle politiche di mitigazione per cui occorrerebbe un consenso mondiale che oggi, sulla riduzione delle emissioni, tutte, a partire da quelle industriali, non c’è.

Senza una strategia universale, che dubito sarà possibile avere, si rischia con un passaggio troppo veloce, senza tappe intermedie, di causare un crollo dell’economia basata sull’automotive in Europa. Le conseguenze saranno impoverimento tecnologico, disoccupazione, creazione di nuovi poveri, perdita di competitività dell’Europa perché, comunque, le aziende europee continueranno a produrre auto a benzina e diesel negli altri Continenti che sposteranno il baricentro delle priorità industriali e finanziarie. Chi sino a oggi si è scagliato contro Fca e poi Stellantis perché hanno le sedi legali nei paradisi fiscali europei si renderanno conto di cosa significherà vendere solo più auto elettriche in Europa. Maggiori profitti per le aziende, minore occupazione. Più ricchezza per i pochi azionisti, più poveri in Europa.

Il mercato, a oggi, ma il 2035 è vicinissimo se pensiamo alla vita media di un’auto in Italia, sta bocciando tale scelta indicando nell’ibrido la transizione intermedia da attuare in tempi più lunghi.

La crisi economica che oggi pagano i più deboli e l’inflazione al 12%, che non è da eccesso di domanda ma da aumento dei costi di energia e materie prime, ci dicono che i tempi non sono maturi per un passaggio così drastico e repentino dalla combustione all’elettrico tout court. Mancanza di infrastrutture per la ricarica e l’esplosione dei costi dell’energia elettrica non si supereranno, insieme all’inflazione, in un periodo breve quindi non solo il mercato continuerà a bocciare l’elettrico per gli alti costi di un’auto elettrica ma le aziende hanno altre gravi priorità (sopravvivere) per cui diventa difficilissimo investire per riconvertirsi. E comunque non ci sarà spazio per tutti con conseguenti crisi occupazionali e i nuovi lavori non riassorbiranno tutta la manodopera.

In questo ambito fa sorridere leggere i vari esperti, dai giornalisti ai professori universitari, che si dilettano a spiegare come sarebbe bello e risparmioso di energia lavorare quattro giorni alla settimana per nove ore. A parte che nel terziario avanzato si ridurrebbe ancora di più il servizio all’utente perché, lo dico per coloro che non sanno che l’Italia è un Paese che invecchia, le persone anziane hanno difficoltà a informatizzarsi. Secondo, forse molti intellettuali non conoscono la vita vera delle famiglie, di chi lavora per cui cambiare regole e orari si scontra con la gestione dei figli, delle persone anziane che hanno a casa da assistere, sull’utilizzo dei trasporti pubblici.

Tornando alla transizione, che però impatta la vita dei lavoratori e questo dovrebbe essere l’attenzione primaria di chi fa scelte economiche e industriali, si è stabilito di fare una verifica dell’andamento della transizione nel 2026 per cui è prevista una eventuale clausola di revisione.

Le case automobilistiche saranno chiamate a passaggi intermedi nella riduzione delle loro emissioni nocive nel 2025 e nel 2030. L’intesa giunge mentre Bruxelles sostiene che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la conseguente grave crisi energetica devono accelerare la transizione ambientale dell’Unione europea, non certo ostacolarla. Mi sembra che si dovrebbe fare proprio il contrario anche perché se l’Unione Europea è divisa e spaccata sulla definizione di un tetto al prezzo del gas, in cui prevalgono gli interessi economici dei singoli Paesi, mi chiedo come sarà capace a gestire la complessità di una transizione energetica in breve tempo se non ha una linea comune proprio sulla gestione delle fonti energetiche.

Occorrerà lavorare molto nell’ambito dell’Unione Europea su tutti gli step previsti dalla relazione biennale dell’esecutivo europeo sulle emissioni stradali e l’impatto che avrà sui consumatori e sull’occupazione, i progressi in termini di efficienza energetica e di accessibilità economica dei veicoli a zero e a basse emissioni. Questo è il compito che aspetta ai produttori europei, alla politica, alle parti sociali quindi la prudenza delle associazioni dei costruttori di auto che chiedono sostegno alla filiera per attuare la transizione non deve significa accettazione delle tempistiche ma condivisione della scelta verso la transizione e minor inquinamento. Occorre dire, però, che i motori di nuova generazione euro 7 ormai hanno tassi di inquinamento molto ridotti e che la strada verso l’elettrico se non prevede anche un’indipendenza dagli altri Paesi sulle materie prime per realizzare le batterie non si dovrebbe nemmeno prendere in considerazione la transizione verso l’elettrico. Prima bisogna costruire l’indipendenza industriale e tecnologica e poi realizzare la transizione sennò rischiamo di avere un bel giardino europeo soffocato dai fumi cinesi, dei Paesi dell’Est, dagli Usa e dalla Russia.

E infine, transitando all’elettrico cosa ne faremo di Pomigliano, Melfi, Cassino e Mirafiori?

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