Terra per coltivare imprese

L’imprenditoria piemontese, quella con i piedi ben piantati nella terra, ha perso nelle ultime settimane tre protagonisti. Amilcare Merlo, 88 anni; Teresio Massucco, 81; Vittorio Vallarino Gancia, 90 anni: ma non dimentichiamo Alberto Balocco morto tragicamente.

Storie diverse ma simili che hanno origine nelle terre cuneesi e astigiane e dove l’elemento comune rimane la terra, nel senso più universale, sia che venga coltivata attraverso i mezzi agricoli della Merlo, o dia la vita ai magnifici vigneti della Langa astigiana e infine la terra movimentata dai mezzi industriali della Massucco. Chi passa sulla tangenziale all’altezza di Venaria vede in bella esposizione tutti i mezzi industriali e movimento terra della Massucco.

Sono storie di uomini e industriali di successo anche quando ci sono state difficoltà come quando la Gancia fu ceduta al russo Tariko che l’ha rilanciata diversificando i mercati spumantieri. Storie di imprenditori con l’attenzione alle persone, ai lavoratori, alle loro famiglie; con una visione apparentemente provinciale ma in realtà internazionale. Merlo e Gancia esportano in tutto il mondo i loro prodotti. Anzi, molto probabilmente si “sono nascosti” dentro la provincia per potere continuare a lavorare, produrre, crescere, innovare lontani dai riflettori ma con una visione moderna e di primizia tecnologica. 

Creatori e innovatori, basti pensare che comunemente i telescopici sono chiamati da chi li usa “il merlo” per confermare quanto il prodotto si identifichi con il produttore. Creatori di prodotto e capaci di seguire l’evoluzione dei mercati di riferimento stando un passo in avanti rispetto agli accadimenti. Tutto ciò porta a un elemento essenziale per chi si occupa di lavoro come facciamo noi sindacalisti: queste persone hanno creato lavoro, occupazione stabile, sviluppando una filiera fondamentale per il territorio piemontese a cui Torino dovrebbe guardare di più, come l’agroalimentare nella sua accezione più ampia.

Basti pensare che il 29% del territorio della Città metropolitana è area agraria e quasi il 65% sono aree naturali considerando tutto l’arco alpino e montuoso, quindi non coltivabile.

Quindi la nostra Città metropolitana non dovrebbe trascurare la filiera agroalimentare che contiene dentro di sé molte variabili dalla produzione di macchine agricole, alle coltivazioni e al pascolo, alla trasformazione dei prodotti sino alle sue eccellenze nel campo gastronomico. La filiera agroalimentare si aggancia al turismo enogastronomico, alla ristorazione, alla ospitalità.

Pertanto industria, ancora industria (e non solo auto e veicoli) ma diversificazione puntando a settori che nella accezione estesa della filiera creano occupazione stabile sia con la necessità di alte competenze ma anche con profili professionali più bassi ma assolutamente necessari nella nostra realtà territoriale.

La storia di questi imprenditori è significativa e vale bene una riflessione in quanto emerge che c’è più fermento imprenditoriale fuori della cinta daziaria torinese che dentro. Imprenditori che non invocano sempre l’intervento pubblico, certamente lo avranno usato, ma non basano le loro politiche aziendali su di esso e comunque sempre usato per fare crescere la propria azienda. Meno piagnistei, più fatti.

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