I soldi ci sono ma non sappiamo spenderli

Come sta Torino? Se lo chiedono in molti: le imprese, con il loro grado di fiducia nel futuro rivolto verso il basso, i ricercatori, con analisi pessimiste a partire dal gruppo dirigente complessivo che non sa fare squadra. Un’incapacità, quella di marciare insieme, che si può vedere nella realtà quotidiana. Molte idee ma non coordinate, con la netta sensazione che ogni élite professionale o politica o sociale magari ha una sua ricetta ma poca volontà di interagire.

Una classe dirigente ripiegata su sé stessa, autoreferenziale con progetti ormai superati o che dovrebbero essere acquisiti. Periodicamente si ripresenta il Manufacturing center o il Polo dell’aerospazio come le novità per la Torino del futuro mentre i progetti sono ormai superati dal futuro stesso.

Manca una guida, una sintesi. Ricordo il ruolo di “Torino Strategica” dei decenni passati sotto l’egida del sindaco e di un entourage che lavorava compatto a una strategia univoca. Oggi si bada a progetti di breve e medio periodo il cui unico scopo è ottenere finanziamenti senza strategia e sbocco complessivo.

Bisogna prendere atto che senza “mamma Fiat” questa città è smarrita? Il declino c’è, si vede. In parte è fisiologico, con la crisi dell’automotive che iniziata nel 2008 (ma Torino ha usufruito di tre anni di ottima produzione Maserati) non si è ancora fermata, e crisi globale a cui le varie aree metropolitane hanno reagito diversamente. Il Pil di Manchester, Copenaghen, Monaco, Lione, Milano è nettamente positivo. Torino è equiparabile alle città del Sud, Napoli e Roma, come crescita economica e occupazione mentre da Bologna a Verona, da Monaco a Lione e Glasgow i fattori di crescita e stabilità sono maggioritari.

Non abbiamo le risorse o non abbiamo una guida e un gruppo dirigente torinese adeguato? Certo le risorse non mancano a sentire Luca Asvisio, presidente dell’Ordine dei commercialisti, il quale sostiene che le finanze dei torinesi stanno abbastanza bene, con la presenza di grandi capitali in città dovuti anche all’arrivo di buoni finanziamenti pubblici per le imprese. Quindi non si riferiva ai redditi degli operai di Mirafiori!

Perché non si investe? Certo c’è l’incertezza sulla direzione da prendere. Nell’ancora capitale dell’auto che si trasforma e di cui dobbiamo capire la strada da intraprendere è difficile investire eppure dovremmo provare a tracciare una strada nostra.

Provare a disegnare una città più verde o, come dice qualcuno, “vegetalizzare” gli spazi urbani è un investimento e una prospettiva di sviluppo di una nuova area metropolitana torinese. A Collegno partirà il progetto dell’economia circolare del riciclo del rifiuto. Torino può sposare le nuove tendenze dell’arredo urbano che prevedono, ad esempio, la copertura verde sugli edifici e nei luoghi altamente frequentati, come i centri commerciali. Tra le esperienze più suggestive, quella di un supermercato di Firenze che ha sostituito l’impianto di ventilazione con una sorta di serra per il ricambio dell’aria.

Abbiamo delle brutture estetiche come coperture industriali, di condomini, di garage a raso, di tetti di impianti commerciali, di parcheggi che possono diventare industria del verde, industria che ha una componente tecnologica altissima, e che con le coperture vegetali portano vantaggi climatici non indifferenti riducendo l’inquinamento attraverso la diminuzione degli effetti delle “isole di calore”, favorendo un rinfrescamento dell’atmosfera e gestendo l’acqua piovana. Inoltre, riducono il consumo energetico dell’edificio, sia per il suo riscaldamento, sia per il raffreddamento. Pensiamo a tutti i grandi centri commerciali dell’area metropolitana con la loro produzione di calore atmosferico e inquinamento; adesso immaginiamoli con i tetti ricoperti di verde.  Non è interessante creare un’industria parallela, non alternativa ma aggiuntiva a quella dell’auto? L’industria del verde ha potenzialità ma forse è riduttiva per i tanti capitali presenti in città? La nostra classe di investitori torinesi ha così tanti soldi, come dice Asvisio, che aspetta il grande investimento anziché buoni investimenti diffusi?

Eppure, siamo nel campo della transizione ecologica, di cui l’auto non è l’inquinatore principale e invece i sistemi di riscaldamento abitativi, commerciali e industriali sono una delle fonti principali e purtroppo non si investe e agisce in questo campo.

Oggi Torino ha grandi aree dismesse di cui è difficile immaginare il riutilizzo, aree come l’ex Grandi Motori, la Thyssen di corso Regina. È impensabile portare l’agricoltura in città? Penso alle colture idroponiche o ipoacquee a cui serve luce, calore, serre, acqua anche a circolo chiuso, energia pulita attraverso il fotovoltaico. Insomma, un processo che svilupperebbe l’agroindustria, valorizzando il territorio, creando prodotti a chilometro zero, attirando la curiosità e l’interesse di possibili investitori nonché, particolare non del tutto trascurabile, creando lavoro. Quel che manca per farlo si crea, si deve avere il coraggio di andare oltre l’esistente, d’altra parte chi ha comprato la Galup non è anche un metalmeccanico forgiatore? Allora su, spendiamoli questi soldi per Torino.

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