Regione, la coalizione conta (più del candidato presidente)

È già partito, com’è giusto che sia, il confronto in vista delle elezioni regionali piemontesi del 2024. Certo, un conto è il gossip, altra cosa è quando decollano realmente il confronto sui programmi, la costruzione delle alleanze e, in ultimo, la definizione delle candidature. Ma, comunque sia, il dibattito è già decollato.

Ora, come sempre capita, l’unico elemento che conta all’interno di ciò che resta dei partiti, è il capitolo delle candidature. Alla presidenza innanzitutto e poi, di seguito, nel cosiddetto “listino” legato al presidente – sempre che ci sia ancora – e, in ultimo, ai vari candidati nelle liste.

Per quanto riguarda il tema dei programmi, come da copione, serve come specchietto per le allodole perché l’intera concentrazione verte sulla stesura degli organigrammi. Ma, al di là di questa considerazione talmente scontata che non merita neanche di essere commentata e approfondita, quello su cui vorrei richiamare l’attenzione riguarda la costruzione dell’alleanza. Perché è proprio dal perimetro concreto dell’alleanza che si mette in campo che si capisce in anticipo chi vince o chi perde le elezioni. Regionali o nazionali che siano non fa alcuna differenza. E questo è valso per le recenti elezioni politiche e varrà, di conseguenza, per le ormai prossime elezioni regionali. E forse, e lo dico senza alcun entusiasmo, è quasi indifferente la stessa candidatura a presidente ai fini della vittoria elettorale.

Credo che ci siano, al riguardo, alcuni esempi che confermano questo assunto. Le ultime elezioni regionali piemontesi, ad esempio, vedevano contrapposti alla presidenza Sergio Chiamparino per il centrosinistra e Alberto Cirio per il centrodestra. Era un fatto abbastanza scontato sostenere che il “carattere” di Chiamparino e la sua naturale e storica “empatia” con le persone – come anche per Cirio, del resto, seppur in misura diversa – potevano essere tasselli determinanti per la vittoria di quello schieramento politico. Oltreché essere sempre stato vincente, almeno sino a quel momento. Dopodiché abbiamo visto i risultati concreti emersi dalle urne e abbiamo anche valutato il cosiddetto “valore aggiunto” del candidato rispetto alla coalizione di riferimento. E, come da copione, si è preso atto che tranne in alcune realtà ben delimitate, è la coalizione che traina il candidato e non più viceversa. Come, invece, capitava – seppur in minima parte già in quella fase politica – ai tempi dei collegi uninominali con il cosiddetto sistema elettorale del “mattarellum”. Del resto, per avere la prova di ciò che sto dicendo, recentemente tutti i capi corrente del Pd e i loro “cari” si sono candidati massicciamente nella quota proporzionale per evitare sorprese spiacevoli dalle urne. Dove, cioè, già davano per scontato che non venivano eletti nei collegi uninominali. Dove poteva contare, visto il profilo dell’alleanza di centro sinistra, il “valore aggiunto” del candidato e non la coalizione di riferimento.

Ma, per tornare alla prossima consultazione elettorale per eleggere il presidente della Regione Piemonte, chi costruirà la coalizione più forte a livello di sommatoria di partiti vincerà la competizione. Con tanti saluti ai programmi – che, del resto, spostano pochissimo se non nulla –, ai candidati del “listino”, ai candidati che corrono nella quota proporzionale con le preferenze e, in ultimo, al candidato stesso a presidente. È una legge, questa, non scritta ma sufficientemente nota per non fare notizia.

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