ALTA TENSIONE

Tav, cantieri in assetto "di guerra": impiegati 266mila agenti all'anno

Per proteggere i lavori della Torino-Lione in Valsusa sono stati necessari centinaia di uomini e donne in divisa. La testimonianza di un funzionario della Digos durante il maxiprocesso contro esponenti di Askatasuna, la frangia più estrema del movimento

Sono cantieri ma sembra un immenso campo di battaglia. Per proteggere i lavori della Tav in Valle di Susa le forze dell’ordine hanno impegnato, a turno e a rotazione, fino a 266mila operatori in un solo anno. A rivelarlo oggi in tribunale a Torino è un funzionario della Digos durante la testimonianza al maxiprocesso contro gli esponenti del centro sociale Askatasuna. L’anno di riferimento è stato il 2021, quando fu aperto il cantiere di San Didero, che andò ad aggiungersi a quello di Chiomonte, inaugurato nel giugno del 2011. Il funzionario ha risposto a domande della parte civile per il ministero dell’Interno, interessata alla quantificazione dei danni.

Secondo il funzionario della Digos, nel 2011, con l’avvio del cantiere di Chiomonte (a partire quindi dal 27 giugno, data in cui fu sgomberato il presidio dei No Tav) furono impiegati 146 mila operatori. Nel 2014 si ebbe una punta di 251 mila, poi la curva cominciò a scendere per tornare a crescere nel 2020 e toccare il vertice nel 2021. “Quell'anno – ha spiegato – fu caratterizzato da numerosi episodi che portarono a valutare una presenza più robusta”. “In alcune occasioni – ha ancora precisato – l’impiego supera le mille unità. Si tratta di elementi di reparti e brigate mobili, funzionari, autisti, personale di polizia scientifica e altro. Il numero dipende da ciò che accade periodo per periodo e giorno per giorno. Le decisioni sono a discrezione del Questore e si basano su valutazioni preventive”. Quanto alla spesa, il testimone ha parlato di otto milioni di euro solo per i cosiddetti “costi di aggregazione per gli agenti”. 

Nati in concomitanza con i progetti della linea ferroviaria, la prima grande manifestazione dei No Tav può essere considerata quella del 2 marzo 1995 a Sant’Ambrogio di Torino. Le proteste No Tav accompagnano ogni tappa della Torino-Lione, contribuendo a far salire la tensione dopo il 2001 (firma del trattato tra Italia e Francia) e in particolare nel 2005, quando la marcia di Bussoleno fa registrare 80mila partecipanti. Un altro episodio rilevante avviene nella notte tra il 5 e il 6 settembre del 2015. Alcuni No Tav conducono un assalto al cantiere di Chiaromonte in Val di Susa, nel corso del quale un poliziotto viene ferito perdendo l’udito. Da quell’evento, prende il via un processo conclusosi nel 2018 con la condanna di sei militanti a 3 anni e 6 mesi di carcere. Si aggiungevano ai 38 condannati (in secondo grado, in primo grado erano stati condannati in 47 su 53) al maxi processo originato dagli scontri del 2011, sempre a Chiaromonte. Nel 2018 la Cassazione annulla la decisione della Corte d’Appello sui fatti del 2011, l’appello bis si conclude quindi con 32 condanne, con pene dimezzate e non superiori ai 2 anni a causa di assoluzioni parziali e della prescrizione di numerosi episodi.

Il fronte è costituito da una costellazione di movimenti piuttosto composita, che spazia dai valligiani, diminuiti dagli 8mila degli anni Novanta a poche centinaia degli anni successivi (il periodo caratterizzato dagli scontri con le forze dell’ordine), ai militanti del centro sociale Askatasuna, la frangia antagonista di 6- 700 militanti, nonché porta di accesso del movimento No Tav alla rete dei centri sociali. Sono loro i principali responsabili dello scontro permanente con le forze dell’ordine. Un quadro, quello degli estremismi, che si completa con gli anarchici, “la componente più dura e incontrollabile, che spesso pesca nel bacino del disagio sociale”. Anche loro vanno annoverati tra i duri del movimento No Tav.

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