POLITICA & SANITÀ

Al Piemonte serve un piano.
Sanità senza programmazione

Non lo ha fatto il centrosinistra, non lo fa il centrodestra. Da oltre un decennio la Regione naviga a vista, preferendo agire con interventi spot, mentre le necessità reclamano una visione nella materia più importante per l'ente e i cittadini

Appena l’altro giorno dai banchi del Pd in Consiglio regionale è arrivato un avvertimento alla maggioranza di centrodestra che lascia presagire più di un ostacolo sulla strada verso l’attribuzione di ulteriori competenze all’Azienda Sanitaria Zero, come messo nero su bianco in un testo presentato dalla Lega.

Se non può sfuggire come la minoranza intenda cavalcare la questione puntando, in realtà, sulla legge elettorale anch’essa in discussione, rischia di passare in secondo piano una questione assai più complessa, di direbbe ormai strutturale, che coinvolge sia l’attuale maggioranza sia chi nel 2019 è finito all’opposizione dopo aver governato per una legislatura. Le diatribe e i giochi politici sulla cosiddetta Super Asl, i poteri ai questa via via attribuiti (spogliando sempre più la macchina tecnico-burocratica di corso Regina, peraltro depauperata da un po’ d’anni) e le schermaglie che ne conseguono, non possono che portare in evidenza ciò che gli opposti schieramenti, per diversi motivi e in momenti diversi, non hanno mai mostrato di voler affrontare con decisione. 

Il Piemonte ha un piano sociosanitario che data ormai circa un decennio. Non ne ha predisposto uno nuovo l’amministrazione di centrosinistra di Sergio Chiamparino, con la scusa di essere sottoposta al piano di rientro, ma non colse neppure lo scampolo di fine mandato per almeno porre le basi di quello strumento che è la sostanza stessa della funzione regionale, ovvero la programmazione. Venne, questo sì, in gran parte stravolto l’esistente con la famosa e per alcuni versi famigerata delibera 1-600 sulla rete ospedaliera che portò a pesanti tagli (dei posti letto e non solo) di cui si paga ancora l’alto prezzo, predisposta dall’allora direttore regionale Fulvio Moirano e su cui pose il sigillo l’assessore del tempo, il piddino Antonio Saitta, rimediando una sequela di ricorsi, in gran parte di sindaci del suo stesso partito. Quello stravolgimento del piano sociosanitario in forma di delibera passò, addirittura, prima in giunta e solo dopo in consiglio stravolgendo i dettami della programmazione sotto l’ombrello del succitato piano di rientro.

Nel 2019 in piazza Castello e in via Alfieri si insedia il centrodestra, quasi non fa in tempo a comprendere dal versante di chi governa la reale situazione della principale voce di bilancio e primario interesse dei cittadini che piomba nella più inedite delle emergenze. Il Covid stravolge tutto e finisce con il mettere a nudo più di una carenza nel sistema sanitario, figlie anche e soprattutto di quella ormai vecchia e inadeguata programmazione, ritoccata e anche stravolta senza tuttavia un intervento completo e organico come la legge e, più ancora, la buona politica prevede. Si scopre una medicina territoriale inadeguata, emergono carenze in quella ospedaliera, anche se alla fine il Piemonte se la caverà meno peggio di altre regioni. Ma non è questo a poter nascondere un vulnus che si perpetua anche con il mutare del colore politico di chi ha la responsabilità di governare una regione e disegnare il futuro di un bisogno primario della sua popolazione qual è la sanità.

Passa la lunga onda d’urto del Covid, si profila l’arrivo dei moltissimi soldi del Pnrr, c’è una sanità messa a nudo e cambiata dalla pandemia, ma di un nuovo piano sanitario neppure l’ombra, nemmeno l’accenno di un avvio nelle mille discussioni a Palazzo Lascaris, su un fronte come sull’altro. Non lo mette seriamente in cantiere la maggioranza che va avanti con interventi spot o, per usare un’altra espressione, con infiniti spezzatini: l’edilizia sanitaria con elenchi di ospedali da costruire, il Recovery Fund con gli obiettivi da raggiungere, ma anche con i Pronto Soccorso sempre più poveri di medici che arricchiscono le cooperative di gettonisti, le liste d’attesa con le puntuali conferenze stampa di annunci e via così. 

Ma non muove un dito neppure la minoranza (come non lo aveva fatto quando le era toccato governare) per dotare il Piemonte di uno strumento adeguato di programmazione sanitaria. Si preferisce rintuzzare ogni mossa del centrodestra, sia si tratti del modo con cui trovare i soldi per nuovi ospedali, sia per contrastare la concentrazione di poteri sul nuovo organismo creato su modelli di altre regioni, ma sempre al di fuori di una programmazione completa e organica che continua a mancare. Chi avrebbe potuto impedire al Pd, insieme alle altre minoranze se d’accordo, di muoversi come un governo-ombra producendo una proposta di piano da sottoporre alla maggioranza, non tanto sperando in una sua approvazione quanto, perlomeno, per farne sprone? Più semplice attaccare su ogni singolo provvedimento, così come è meno complicato per chi governa agire, appunto, con azioni singole e, di fatto, slegate l’una dall’altra. 

Il risultato è che anche questa legislatura finirà senza che il nuovo piano sociosanitario di cui necessita da tempo il Piemonte sia almeno abbozzato. Il 19 luglio dello scorso anno, in commissione Sanità, l'assessore Luigi Icardi annunciò che la regione intende adottare un nuovo piano sociosanitario. Lo stesso giorno, con una delibera della giunta venne istituito un gruppo di lavoro “a supporto degli assessorati alla Sanità e al Welfare per l’analisi e la formulazione di proposte di riqualificazione e sviluppo in ambito sanitario e sociosanitario regionale”. Un assai nutrito gruppo di dirigenti ed esperti il cui compito finalizzato “a una prospettiva di revisione più globale del sistema (…) nonché  al riordino al fine di poter avviare la stesura di un nuovo piano sociosanitario regionale” era previsto terminasse al 31 dicembre scorso. Dell’esito, tra i tanti annunci, non se ne è avuta ancora notizia. E, comunque, è facile supporre che anche questa legislatura regionale, con i partiti che di qui a pochi mesi entreranno nella lunga campagna elettorale in vista del 2024, si concluderà non solo senza dare al Piemonte un nuovo e atteso strumento di programmazione sanitaria, ma neppure gettarne le basi.

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