Guerra, pace e canzonette

I Paesi colonialisti generano molte contraddizioni all’interno dei loro domini, ma una spicca su tutte: il rispetto dei principi democratici nei propri stretti confini nazionali e, contemporaneamente, l’impedimento della libera espressione nei territori dell’impero su cui regnano.

Nel XIX secolo, ad esempio, mentre il confronto tra chi sedeva nei caffè di Parigi o di Londra si animava, non risparmiando critiche al governo o alla Casa Reale, nelle colonie veniva repressa addirittura la satira e si usava il cosiddetto pugno di ferro nei confronti di chiunque dissentisse.

Una situazione molto simile a quella che vive oggi l’Europa nelle sue complesse relazioni con gli Stati Uniti. Infatti, negli States alcune voci autorevoli si elevano quotidianamente contro le scelte compiute dal proprio Governo, sia in campo estero che nazionale. Al contrario, nel Vecchio Continente coloro che dissentono vengono considerati “eretici” e quindi zittiti in malo modo. Voci dissonanti soffocate addirittura dal Parlamento europeo, che recentemente ha approvato una mozione che stabilisce la censura su chiunque si esprima pubblicamente discostandosi dalla linea antirussa della Nato.

In Italia abbiamo assistito senza battere ciglio alle invettive espresse in tv da chi presto sarà segretario del Pd, Bonaccini, contro un Orsini che, senza l’uso di parole aggressive, osava mettere in dubbio la bontà della scelta di fornire armi all’esercito di Kiev. Oltreoceano, invece, alcuni docenti universitari si pongono tutti i giorni in aperto contrasto con le azioni belliche intraprese da Biden. Il professor Jeffrey Sachs (per citarne uno) della Columbia University ricorda in un‘intervista, rilasciata pochi giorni fa a un quotidiano italiano, la promessa fatta nel 1990 a Gorbaciov dall’alleanza atlantica, in conseguenza dello scioglimento dell’Urss, di non ampliare neppure di un centimetro la sua influenza verso Est: impegno ampiamente sconfessato.

Il direttore del Centro Sviluppo Sostenibile della prestigiosa università newyorkese non ha dubbi quando addossa la responsabilità della volontà di non trattare la pace, dimostrata nei fatti dall’amministrazione di Washington, ai “neocon”, ossia ai neoconservatori. La linea dura ha quindi una matrice politica riconducibile a una sola parte: la Destra iperliberista americana.

Il paradosso non finisce qui. Giornali e testate televisive a stelle e strisce non perdono occasione per denunciare la corruzione che minava, prima ancora della guerra, la credibilità dell’esecutivo ucraino, ma queste notizie non sono mai rimbalzate sui media di casa nostra, anzi. La stampa italica è impegnata, pancia a terra, nel minimizzare la non affidabilità insieme al forte valore nazionalistico del Governo Zelensky, nonché a nascondere la messa al bando dei partiti di sinistra dal parlamento di Kiev.

Lo stesso continuo licenziamento di ministri, l’ultimo è quello della Difesa, non viene analizzato a fondo e la “pulizia” periodica di funzionari governativi, compiuta dal presidente, viene fatta passare ai cittadini occidentali come un intervento di moralizzazione portato contro chi sbaglia. È da ritenersi sospetta anche la morte del ministro degli Interni, caduto con il suo elicottero su un’area vicina alla Capitale.

Il muro granitico costruito intorno alle notizie di politica estera, e di guerra, è così resistente da permettere il rafforzamento della propaganda, fenomeno che solo nei regimi raggiunge livelli così alti, e genera una grande confusione in cui tutto si mescola magicamente. Capita così che i Verdi tedeschi, forza politica storicamente antinuclearista e attualmente parte del governo di coalizione, si trasformi nel partito più determinato nel volere l’invio di carri armati alle forze militari ucraine. Sarà grazie ai pacifisti di un tempo se i famigerati panzer torneranno a calcare la terra ex sovietica.

Vale una nota ulteriore il tentativo fatto da alcuni cittadini italiani di raccogliere firme per ripristinare la verità storica sulla liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, avvenuta quindi non solo per mano dei soldati ucraini (come le autorità di Bruxelles hanno sostenuto quest’anno). Tra l’altro, l’Ucraina all’epoca si era letteralmente divisa in due: da una parte chi combatteva nella resistenza contro Hitler, dall’altra coloro che invece collaboravano con i nazisti e, in alcuni casi, si arruolavano nelle Ss. Ebbene, il sistema di “Change.org” ha censurato, e quindi bloccato, l’iniziativa definendola “non allineata alle regole comunitarie”.

Del resto, la stessa marcia parigina avvenuta qualche giorno fa, in cui due milioni di francesi hanno maledetto letteralmente il Presidente Macron per aver commercializzato interamente lo Stato (Sanità inclusa), non ha trovato altro che piccoli timidi spazi nell’informazione nostrana.

Laddove i media lasciano il vuoto, arriva prontamente la ricerca di immagine e di sensazionalismo. Amadeus, conduttore del Festival di Sanremo, tra una canzone e una performance teatrale leggerà un messaggio del presidente Zelensky, che da mesi (in realtà da anni) chiede armi invocando la vittoria militare nel nome di noi tutti. Forse, soprattutto dopo il terribile sisma che ha colpito Siria e Turchia (ad Aleppo non si distinguono i danni del terremoto da quelli della guerra) l’occasione sanremese sarebbe stata l’ideale per ospitare sul palco un pacifista ucraino e uno russo. Ma la linea comunitaria purtroppo è bellicista: nessun spazio, quindi, deve essere concesso a disertori e “vili” (come vengono definiti i pacifisti in epoche sanguinarie).

L’Europa avrebbe dovuto essere finalmente sociale, così veniva annunciata l’elezione della Ursula von der Leyen a presidente della Commissione, e invece si è rivelata attenta esclusivamente a produrre e inviare armi. Un continente simile a Fantozzi nell’attimo in cui sale sul tetto del palazzo aziendale per accontentare il suo padrone che gli ha affidato una missione speciale: fare da parafulmine durante una tempesta perfetta.

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