GIUSTIZIA

Il Salone del Libro è un ente privato, nessun danno erariale. E ora traballa pure l'accusa di peculato

La sentenza d'appello della Corte dei Conti rischia di trasformarsi nella pietra tombale anche per il processo penale. Se Picchioni e gli altri amministratori e revisori non avevano un ruolo pubblico allora il reato contestato dalla Procura decade

La Fondazione per il libro usufruiva certo di fondi pubblici, ma era un ente di diritto privato e in quanto tale l’eventuale cattiva gestione delle sue risorse non si può configurare come danno erariale. Così cade l’accusa nei confronti di Rolando Picchioni e altri 14 consiglieri di amministrazione e revisori dell’ente che fino al terremoto giudiziario del 2017 ha gestito il Salone del libro di Torino, tra cui Giovanna Milella, Gianni Oliva, Lorenzo Del Boca e Walter Barberis. A loro veniva chiesto di rifondere 875mila euro di spese “per finalità extraistituzionali (tra cui viaggi, alberghi, ristoranti, omaggi, noleggio di auto, affitto di box)” ma i magistrati contabili non sono neanche entrati nel merito di quelle spese.

La Seconda sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei Conti, infatti, ha confermato anche in secondo grado che “il danno arrecato dai convenuti al patrimonio della Fondazione non può giuridicamente qualificarsi come erariale, trattandosi di danno riferibile al patrimonio appartenente soltanto al detto soggetto” si legge nella sentenza. Un soggetto privato e non pubblico. Una buona notizia per il portafogli di tutti gli imputati, ma non solo.

Il pronunciamento definitivo della magistratura contabile, infatti, rischia di compromettere anche l’intero impianto accusatorio del processo penale in cui il reato contestato dai pm Andrea Beconi e Gianfranco Colace è il peculato, che si applica sul pubblico ufficiale o sull’incaricato di pubblico servizio. Se la Corte dei Conti sancisce la natura privata della Fondazione per il libro, rinunciando a entrare nel merito del danno erariale, come può essere contestato il peculato nel processo penale? “Le due giurisdizioni sono autonome – è la premessa dell’avvocato Andrea Castelnuovo, che ha difeso Picchioni davanti ai giudici contabili – certo a questo punto diventa difficile per il tribunale non tenere conto di questo pronunciamento”. Insomma, le giurisdizioni saranno pure autonome, ma la legge è una.

A questo punto il rischio è che tutto il processo penale finisca su un binario morto: se il reato contestato dovesse trasformarsi da peculato ad appropriazione indebita, anche laddove la Procura riuscisse a dimostrare le accuse, interverrebbe prima la prescrizione che per l’appropriazione indebita scatta dopo sette anni e mezzo (così come per la turbativa d’asta, un altro dei reati contestati a Picchioni). Lo spiega bene l’avvocato Valentina Zancan in un colloquio con lo Spiffero: “Se decade il peculato il processo è morto poiché i fatti si riferiscono al 2015” e da allora sono ormai passati otto anni.

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