SACRO & PROFANO

La Chiesa "poliedrica" di Olivero,
Bianchi e gli amici mainstream

Per il vescovo di Pinerolo occorre "scendere dal piedistallo dell'esclusiva", contemplando una "pluralità di appartenenza". E intanto organizza un balletto sull'altare. L'ex priore di Bose piace alla gente che piace. A Vercelli un vicario dal pugno di ferro

Nell’inesauribile facondia pubblicistica dell’ex priore di Bose Enzo Bianchi, l’ultima sua fatica editoriale – Cosa c’è di là. Inno alla vita – rivela, nei ringraziamenti in fondo al volume, due che sono di particolare interesse. Innanzitutto, l’autore ci fa sapere di avere scritto le sue pagine «nella solitudine dell’esilio che mi hanno inflitto», senza però specificare chi siano i suoi persecutori. Ci sarà mai qualche giornalista che abbia il coraggio di domandarglielo? La seconda informazione è l’elenco degli amici che hanno confortato il povero monaco nelle pene  del suo «esilio» e che rappresentano i più bei nomi di quella intelligencija progressista i cui schemi teorici sono ancorati a studi, approcci e linguaggi, destinati a cerchie di persone  fedeli, solitamente benestanti, e comunque ascrivibili al mainstream dominante: Umberto Galimberti, Michelina Borsari, Vinicio Capossela, Patrizia Valduga, François Cassingena, Rosanna Virgili, Paolo Ricca, Massimo Recalcati, Silvia Ronchey, Ivano Dionigi, Nathalie Sarthou-Lajus, Barbara Spinelli, Giannino Piana.

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A Vercelli ad affiancare (o sostituire?) l’arcivescovo Marco Arnolfo alla guida della diocesi, in aiuto delle virgines potentes, è giunto da novembre un vir prae-potens, nella persona del vicario generale (o generale vicario?) don Stefano Bedello. Nell’ultima assemblea plenaria del clero, infatti, quest’ultimo – che è anche direttore dell’ufficio liturgico diocesano, seppur licenziando in Liturgia da dieci anni – ha intimato, con piglio sudamericano bergogliano a ciascuno di consegnare entro Pasqua una lettera di disponibilità al trasferimento, senza perdersi in proposte o richieste, ma offrendo all’Eccellentissimo arcivescovo – astante e muto – un’«obbedienza cieca pronta e assoluta» di trinariciutesca memoria. Un diktat vero e proprio alla faccia della sinodalità tanto predicata e insegnata nei convegni di facciata. A molti è venuto in mente quando lo stesso allora giovane sacerdote, oggi vicario, dovendo ritirare il decreto che lo nominava parroco di Santhià – di cui è titolare (uscente?) – e resosi conto che esso si limitava all’incarico di amministratore, protestò con veemenza pretendendo e ottenendo che gli venisse attribuito il titolo di parroco senza il quale avrebbe rinunziato alla nomina. Mysterium oboedientiae. Oppure, più semplicemente, alla maniera del marchese del Grillo: “Perché io so io e voi non siete…”.

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Il prete sociologo don Luigi Berzano ha dato alle stampe la sua ricerca Senza più la domenica. Viaggio nella spiritualità secolarizzata ove analizza da un lato il crollo della partecipazione alla Messa domenicale e, dall’altro, la partecipazione di oltre due terzi degli italiani ai cosiddetti “riti di passaggio” e cioè battesimi, prime comunioni, matrimoni, funerali. Sono quelli che possono essere definiti «credenti non praticanti», coloro cioè che non vivono la vita della Chiesa ma in qualche modo vi fanno riferimento e che sentono il bisogno della «forma estetica e rasserenante del rito nelle fasi fondamentali della vita» e per cui l’autore domanda alla Chiesa «una svolta rituale». Nella postfazione, il vescovo di Pinerolo, monsignor Derio Olivero, propone ai cristiani di «scendere dal piedistallo dell’esclusiva» (cosa sarà mai questa esclusiva, forse la pretesa della Verità?) e «ipotizzare cambiamenti all’interno della Chiesa, per essere capaci di offrire “il meglio” alle donne e agli uomini di oggi», per costruire non una «cittadella fortificata», ma una «Chiesa poliedrica che contempla una pluralità di appartenenza, una gradualità di appartenenza». Ma che cos’è una «Chiesa poliedrica»? A che cosa serve? E che cos’è quel «meglio» che essa deve offrire? Sarà il benessere spirituale, la pace nel mondo, la felicità terrena? Illusi noi allora che pensavamo la Chiesa come sacramento di salvezza e che il suo esclusivo compito fosse annunciare Cristo e il suo Vangelo? Conseguentemente, in una Chiesa siffatta il compito dei pastori – anzi dei «presidenti» – sarà quello «di non pretendere che tutti soddisfino ogni aspetto dell’esperienza di fede, pena l’imposizione – dall’esterno – di una figura troppo esigente di vita cristiana».

Insomma, è la teoria dell’adeguamento della Chiesa al mondo in cui Cristo – troppo esigente! – deve adattarsi agli uomini e non gli uomini a Cristo, perché è sempre vero che «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».  Ovviamente, la «liquidità del credere» descritta da Berzano andrà affrontata, secondo monsignor Derio, con la creatività, con «nuove forme di riti e modalità celebrative dove siano presenti anche pratiche profane». Come se da cinquant’anni non si facesse altro che celebrare ognuno come vuole e con i devastanti risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Detto, fatto comunque. Domenica 19 marzo nella cattedrale di Pinerolo il vescovo ha presieduto la benedizione dei papà e ad animare la celebrazione eucaristica hanno provveduto alcune ragazze con un loro balletto davanti all’altare.

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Un altro bell’esempio di «Chiesa fluida» per cui sembra che l’unica cosa vincolante per i cattolici sia quella di «non giudicare» l’hanno data nei giorni scorsi due eminenti prelati che godono della fiducia e del favore di papa Francesco. Rivolgendosi ai militanti lgbtq «attivi», il cardinale Robert McElroy, vescovo di S. Diego negli Usa, ha affermato che la Chiesa ha il dovere di «accogliere una teologia eucaristica che inviti concretamente tutti i battezzati alla mensa del Signore, piuttosto che una teologia della coerenza eucaristica che moltiplica gli ostacoli alla grazia e al dono dell’Eucaristia». In sostanza, alla Santa Comunione si può essere ammessi a prescindere dal pentimento e dall’assoluzione. Anche monsignor Víctor Manuel Fernández, vescovo di La Plata in Argentina, ascoltatissimo a S. Marta, ritiene superato l’insegnamento del Concilio di Trento che prevede la necessità del pentimento per ricevere l’assoluzione sacramentale.

In proposito, qualche poveretto ha scritto – scandalizzato – che nel primo caso si applicherebbero le fattispecie per cui «Se qualcuno negherà che per la remissione completa e perfetta dei peccati si richiedano, nel penitente, come quasi materia del sacramento questi tre atti: la contrizione, la confessione e la soddisfazione… sia anatema» (Denz.1704) e il canone 194 per cui devono essere rimossi dall’ufficio ecclesiastico coloro che hanno «abbandonato pubblicamente la fede cattolica». Veramente costui non ha capito nulla della Chiesa «fluida» dove le eresie non sembrano più costituire delitti tanto gravi. Così come gli abusi sessuali dei religiosi – vedi caso Rupnik – dove le scomuniche vengono rimesse con sollecitudine.

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Proprio negli stessi giorni, il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, aprendo alla presenza del papa il XXXIII corso sul foro interno ha fatto alcune puntualizzazioni su aspetti dottrinali che in un tempo ancora recente nella Chiesa non erano messi in discussione da nessuno, in particolare sui doveri dei preti che non hanno alcun «meglio» da offrire se non Gesù Cristo e la sua salvezza: «Noi siamo sacerdoti per dare al mondo la Vita eterna! La Chiesa esiste per annunciare agli uomini la salvezza in Gesù Cristo e per donarla loro attraverso la celebrazione dei sacramenti. Tutto il resto, pur bello e certamente doveroso, è una conseguenza, una estensione del Regno di Dio che, dalla fede scaturisce. Non è misericordia mentire sul peccato e men che meno lo è lasciare i fedeli in stato di peccato, il singolo sacerdote ha il grave dovere di ammonire il peccatore circa la gravità della propria condizione e, se non lo facesse, ne risponderebbe egli stesso davanti a Dio». Parole chiare e sempre più desuete.

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È dunque proprio vero che se i vescovi hanno un gran timore ad esprimersi per timore della “misericordia” papale, appena possono, celati nell’anonimato del voto, mandano a S. Marta segnali inequivocabili e non soltanto negli Stati Uniti. Dovendo procedere nell’ambito della Plenaria della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea (Comece) alla nomina del presidente, è risultato eletto monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina, già segretario della Cei e pupillo del cardinale Camillo Ruini, l’unico cardinale veramente temuto da Bergoglio. Il quale, appena eletto papa e ancor prima della scadenza lo spedisce a Latina facendo di Crociata il primo vescovo italiano “misericordiato”. Adesso i confratelli lo hanno in qualche modo riabilitato.

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Il vescovo di Anversa, monsignor Johan Bonny, ha dichiarato che tutte le diocesi del Belgio sono unite nell’approvare la benedizione delle coppie omosessuali. In merito è stato approvato una specie di rituale che i vescovi avrebbero sottoposto al papa il quale ha detto: «Se è la vostra decisione, lo posso capire». L’importante per Francesco, ha proseguito il presule, è che noi vescovi rimaniamo uniti. Due volte ha chiesto: siete tutti d’accordo? Camminate insieme? Allora abbiamo detto sì». Avanti tutta dunque.

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Per finire due note allegre, anzi quasi comiche. Il nostro don Luca Peyron – direttore del Servizio per l’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, questo è il suo altisonante titolo ufficiale – comunica giulivo di essere stato incaricato di «una missione spaziale per conto del papa, una missione unica e una profezia potente». Domani infatti, presso la sala stampa della Santa Sede, don Luca – detto «l’aspirante maggiore» – parteciperà alla conferenza stampa di presentazione della missione spaziale Spei Satelles – un’iniziativa congiunta dell’Agenzia Spaziale Italiana, il Cnr e il Dicastero vaticano per la Comunicazione – dove le parole del Santo Padre, pronunciate durante i giorni della pandemia e nella Statio Orbis in piazza S. Pietro del 27 marzo 2020, voleranno nello spazio. Chissà che, come la cagnolina Laika, non decolli anche lui.

Greta Thunberg, l’attivista svedese dei Fridays for future e paladina del green globale, riceverà il prossimo 9 giugno presso l’università di Helsinki il dottorato onorario in Teologia. La decisione ha diviso il mondo accademico, alcuni hanno sottolineato che «l’unico grande merito di Greta è stato quello di marinare regolarmente la scuola».

Credits foto: Lino Gandolfo per Vita diocesana pinerolese; La Nuova Provincia di Asti

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