Grigliate in crisi

Quest’anno, la tradizione pasquale ha dovuto fare i conti con la crisi. Dai prati, di montagna come di pianura, si è innalzata la colonna di fumo che ha sparso intorno il classico odore di carne bruciata, eppure le persone intorno al fuoco erano decisamente meno rispetto ai tempi passati.

Le grigliate non hanno risparmiato agnelli, bovini e suini. Gli appelli a festeggiare la Pasquetta senza fare la solita strage di animali purtroppo non hanno avuto grande seguito: chi si è dedicato al classico picnic primaverile non ha voluto rinunciare a niente, tantomeno al grasso che cola dagli spiedini. Noi essere umani, del resto, siamo artefici soprattutto della sofferenza altrui, e non facciamo sconti a nessuno. Possiamo decidere quali esseri sacrificare sull’altare del consumismo e quali, invece, lasciare temporaneamente liberi nelle foreste, almeno sino ad esecuzione (tramite fucilazione) dopo sentenza capitale inappellabile.

Abbiamo potere di vita e di morte. Oggi è il turno dell’orso del Trentino e poi sarà la volta del martire per eccellenza (il lupo), ma mentre facciamo tuonare i fucili, con grande spavalderia, non ci rendiamo conto che qualcuno dispone a sua volta di noi, poiché ha più potere di tutti: la speculazione.

In effetti un gran numero di torinesi non ha lasciato la città, scegliendo al limite di gustare una pizza per poi tornare a case e spaccare l’uovo nella speranza di trovare al suo interno una preziosa sorpresa: sogno interrotto prontamente dal solito pupazzetto in plastica che emerge dalla cioccolata.

La scelta casalinga pasquale ha avuto ricadute in primis nelle località turistiche montane, dove i costi del riscaldamento sono diventati inaccessibili per tante famiglie del ceto medio. Gli aumenti spropositati delle bollette energetiche, infatti, hanno messo in grave difficoltà interi condomini, staccati dalla rete del riscaldamento, così come i piccoli comuni alpini dove i villeggianti hanno deciso di chiudere le seconde case ad ottobre, cosicché ridurre i gravosi addebiti della luce e del gas.

Il rischio è quello di essere definiti narratori prolissi, ma è ora necessario evidenziare come dell’assenza di turisti ricada interamente sul commercio di prossimità delle valli montane. I piccoli comuni, sovente costretti a sopravvivere tentando di fermare la continua emorragia di residenti e servizi, subiscono a loro volta gli aumenti del prezzo di elettricità e riscaldamento e, al contempo, patiscono pure il vistoso calo di clienti che nei giorni di Pasqua preferiscono non affrontare il freddo nel nome del risparmio.

Le aziende che trasportano l’energia nelle abitazioni e nelle industrie hanno goduto di extraprofitti senza precedenti, e mentre i loro introiti sono cresciuti (non inciampando in alcun ostacolo di legge), altri hanno intrapreso la strada che conduce da una situazione di debole benessere alla povertà assoluta. Alla crisi economica, in gran parte dovuta alla speculazione, segue quella del potere di acquisto dei cittadini e, quindi, la chiusura di piccole imprese e attività commerciali. Chi viveva dignitosamente facendo molta attenzione alle spese da affrontare ogni mese, ora affonda in un mare di conti che non riesce più a saldare.

In epoca di chiusura dei bilanci consultivi comunali si riscontrano, analizzando le voci contabili, le maggiori uscite dovute all’aumento delle utenze, comprese quelle che gravano sugli impianti sportivi pubblici affidati a terzi (scaldare una piscina è decisamente dispendioso), ma a Torino il fornitore è anche una società partecipata della città. Il Comune subisce un costo aggiuntivo e la società erogatrice dell’energia elettrica assegna al medesimo un utile che, a sua volta, è dovuto agli aumenti in bolletta subiti dai torinesi.

In questo paradosso senza fine, in cui pagano sempre gli ultimi, rimane una sola piccola speranza: quella che la città impegni i profitti, derivanti dalle bollette energetiche, nel settore sociale. Ma sperare sovente non basta per ricevere un po’ di giustizia.

 

print_icon