Quando chiude un'edicola
Juri Bossuto 07:22 Giovedì 15 Giugno 2023
I cambiamenti intorno a noi avvengono lentamente, giorno dopo giorno, e si insinuano nelle nostre consuetudini senza che ce ne accorgiamo. Le abitudini scivolano via, sostituite da altre, e il contesto in cui viviamo muta in modo irreversibile. A volte le novità sono positive, permettendo magari di porre fine all’entropia, ma la maggior parte delle volte portano con sé un progresso molto lontano dal consegnare il reale benessere alla comunità.
Un’edicola, sia essa collocata in centro città che in periferia, di solito è un luogo di incontro, di chiacchiera. Ci si può avvicinare limitandosi a un semplice saluto, consumando un istante utile per comprare una rivista oppure un quotidiano, ma spesso la visita all’edicolante è soggetta ad una naturale dilatazione spazio-temporale in cui domina, su ogni cosa, la conversazione (a volte frivola e sovente impegnata).
I chioschi, anche d’inverno, si prestano a diventare quindi un punto di riferimento fisso. La loro collocazione, a cui fa da cornice la città con la sua confusione quotidiana, di norma interseca percorsi di lavoro come di passeggio, offrendo a tutti un punto di sosta dove poter cedere alla spensieratezza osservando i colori ed i titoli delle copertine patinate. I clienti che vi sostano davanti, tutti impegnati a commentare una partita di calcio e in alternativa la politica del governo, richiamano l’attenzione dei viandanti, e qualcuno sovente decide di fermarsi ad ascoltare, per poi dire la sua.
Il commento dei quotidiani, piegati in due e collocati con ordine in bella vista, anima le mattinate, mentre la luce del chiosco nelle sere invernali sembra un faro nella nebbia: capace nel rassicurare gli animi dei naviganti dando loro una rotta sicura.
Intorno alle edicole nasce una comunità nella comunità. I lettori, anche se non devono fare acquisti, si avviano verso il chiosco verde dopo aver preso il pane, o gustato un caffè. È bello distrarsi, dare tregua allo stress, e lo è ancor più salutare gli amici della rivendita (clienti o gestori essi siano) gettando lì, quasi per caso, un commento sui fatti della giornata. Ma i mutamenti sono in agguato, osservano beffardi i luoghi di aggregazione spontanea e lavorano, con ritmi lenti quanto inesorabili, per cancellarli definitivamente.
La corsa al denaro e la ferrea determinazione nel non voler correre rischi di insolvenza hanno sovvertito le regole della distribuzione. Gli edicolanti devono fare i conti con una “merce” la cui vendita non è sempre immediata, mentre le fatture purtroppo vanno saldate sin da subito. I margini di guadagno diventano così sempre più stretti.
Dalla Falchera a Mirafiori Sud i giornalai chiudono i battenti, lasciando ai supermercati la distribuzione dei quotidiani e delle riviste che hanno mercato: tutto il resto sparisce dall’orizzonte. In zona Centro l’abbandono delle edicole rientra in una sorta di anomala gentrificazione, ossia di trasformazione delle rare porzioni popolari rimaste nel quartiere in aree dedicate alla residenza di lusso.
Le ristrutturazioni degli isolati che gravitano su via Roma vengono avviate sulla base di progetti che disegnano residenze “esclusive”. Interi palazzi si propongono al mercato immobiliare per la loro preziosa unicità, ambendo ad essere riconosciuti come i più belli di Torino, i più cari e quindi non adatti a tutti. Contemporaneamente gli uffici vengono dislocati altrove (da ultimo quelli della Giunta regionale) e la comunità, strangolata dal lusso esclusivo, si sfilaccia sino a scomparire del tutto. Rimangono residenti con tanti soldi in tasca, ma determinati nel non fare spesa nei negozi di prossimità: comprare online oramai fa tendenza.
La metà dei giornalai torinesi ha cessato la sua attività e per ultimo ha chiuso anche il chiosco di via Alfieri, a lato delle Poste centrali. Lina ed Antonio hanno resistito tenacemente sino all’ultimo, sopportando orari impossibili e il graduale svuotamento della via, oramai priva di attività commerciali: determinati a resistere soprattutto per non abbandonare la piccola comunità che si ritrovava intorno alla loro edicola. Alla fine purtroppo, non sostenuti dalle istituzioni e probabilmente neppure dai distributori, hanno mollato.
Un altro punto vendita di giornali (nonché luogo di “Cultura”) in meno: cade un’altra barriera contro l’avanzare dell’ignoranza e dell’indifferenza. La trasformazione del Centro in “non luogo” fa così un ulteriore passo avanti. L’aggregazione umana, in quella zona della Città, lascia posto alla freddezza di rapporti consumati in uno sguardo scambiato durante una passeggiata domenicale. Il centro storico, con i suoi musicisti del fine settimana e lo struscio del sabato pomeriggio, offre sempre minor spazio alla socializzazione (quella reale, non basata sulla merce e sul denaro), all’incontro che lo rende vivo, vero. Le persone che si relazionano tra loro animano una città, regalando emozioni anche a chi la visita, gli stabili sfarzosi invece mostrano ai viandanti solamente dei portoni chiusi.
L’esclusività crea piccoli fortini e intorno la miseria di una città indifferente, di una fiera desolata e ricca solamente di emarginazione. Chiude un’edicola, l’ennesima, e rimaniamo tutti più soli.