TRAGEDIA SUL LAVORO

"Sui binari senza il nullaosta Rfi", Brandizzo era una prassi in Sigifer

La testimonianza di un ex dipendente della stessa ditta dei cinque operai travolti dal treno. "Mi aspetto che vadano in galera e che chiuda l'azienda". Il fattore umano e la catena dei controlli al vaglio degli inquirenti. Possibili sviluppi nei prossimi giorni

«Abbiamo confermato quello che avevamo già detto, cioè che si lavorava anche senza autorizzazioni». A dirlo, uscendo dalla Procura di Ivrea (Torino), è stato Antonio Veneziano, un ex dipendente della Sigifer di Borgo Vercelli. La stessa ditta dei cinque operai travolti da un treno mentre lavoravano a Brandizzo, nel Torinese, per cambiare dei binari, nella notte tra il 30 e il 31 agosto. Dalla giustizia cosa si aspetta? «Che vadano in galera e che chiuda l’azienda» ha risposto Veneziano ai cronisti intorno alle 14.30, dopo cinque ore all’interno del Palazzo di Giustizia con un altro ex collega, Marco Buccino. Veneziano ha dunque riferito ai pm, secondo quanto ha spiegato, che lavorare senza nullaosta sui binari era una prassi. Si attendono solo «giustizia» e «devono andare in galera, deve chiudere l’azienda» ha ribadito, aggiungendo: «Ora non posso parlare». Con tono triste e il volto teso, l’uomo poi se n’è andato verso la propria auto, mentre Buccino ha cercato di evitare del tutto i giornalisti.

Sarebbe già capitato in altre occasioni che squadre di lavoratori siano state impiegate durante il passaggio di treni. È quanto è stato riferito agli inquirenti da numerosi testimoni ascoltati degli ultimi giorni. Dunque, non sarebbe stato un caso isolato quanto avvenuto in quella tragica notte. Del resto, nel video pubblicato sui social da Kevin Laganà, la più giovane delle cinque vittime, che riprende i momenti che precedono l’incidente ferroviario, si vede il ragazzo mentre riceve alcune istruzioni. «Ragazzi se vi dico “treno” andate da quella parte», dice un uomo poi identificato in Antonio Massa, il tecnico di Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) addetto al cantiere in cui lavoravano gli operai. Laganà sorride e fa qualche battuta, poi riprende alcuni colleghi intenti a togliere il pietrisco sotto i binari. «Non abbiamo ancora l’interruzione», dice. Gli operai iniziano a lavorare consapevoli di non avere l’autorizzazione. Laganà non pare spaventato o preoccupato mentre si avvicina al binario. Nemmeno tra i colleghi sembra esserci ansia. Guardando il video, la prima impressione è che per la squadra non sia così strano lavorare in condizioni molto rischiose.

Enrico Calabrese e Marco Bona, avvocati di alcuni familiari delle vittime, hanno detto che finora dai fatti sembra emergere un «modus operandi non occasionale», con «direttive assai pericolose» per i lavoratori e molti «dubbi sull’adeguatezza tecnica dei sistemi di comunicazione e di sicurezza». Secondo la procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione, «bisogna capire se procedere con i lavori senza avere il permesso è una sciagurata scelta delle persone coinvolte o, al contrario, se in questo comportamento possano esserci delle abitudini, delle consuetudini e delle richieste».

Diversa la versione consegnata ad alcuni quotidiani dal titolare della Sigifer, Franco Sirianni. «No, non è assolutamente una cosa normale. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto. I ragazzi lo sapevano. Non volevo nemmeno usassero il cellulare durante i lavori, per evitare di distrarsi. Ho la coscienza a posto», risponde sul fatto che iniziare il lavoro sui binari senza nulla osta fosse una prassi. Quella notte, spiega, di essere corso sul posto dopo essere stato avvisato dal suo direttore tecnico, Christian Geraci. «Era un lavoro banale. C’era la scorta di Rfi. Mentre ero in auto, mi ha chiamato Andrea Gibin, il nostro caposquadra, così sconvolto che diceva frasi incomprensibili. Quando sono arrivato ho capito. Non trovavano i documenti degli operai, per ovvie ragioni – racconta di quelle convulse ore –. La polizia continuava a chiedermi i loro tesserini. Abbiamo dato gli screenshot delle patenti e delle carte di identità. Dopo venti minuti ho parlato col fratello di Kevin. Poi la polizia mi ha bloccato, mi ha detto che avrebbero contattato loro le famiglie».