Assalto al Borgo Medievale
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 21 Settembre 2023
Alcuni acronimi hanno segnato, in questi ultimi anni, la nostra esistenza rendendola decisamente più incerta. Il primo, quello che maggiormente è entrato nelle vite di noi tutti, è senz’altro “Covid”, da Coronavirus Disease 19: termine che dal 2020 abbiniamo a controlli, chiusure, divieti di libera circolazione e ricoveri dagli esiti incerti. “Covid” è stato protagonista del sistema mediatico per circa tre anni, ma presto ha dovuto cedere il passo a un’altra sigla che è diventata immediatamente popolare: Pnrr, ossia “Piano nazionale per la ripresa e la resilienza”.
Si potrebbe affermare che il secondo acronimo è una sorta di filiazione del primo, poiché ideato per sostenere l’affaticata economia degli Stati europei, e soprattutto per contrastare la crisi dovuta a una stagnazione finanziaria accentuata ancor più dall’epidemia virale del 2020-2022 (quindi dal Covid stesso).
Ogni giorno i media riportano notizie riguardanti il Dispositivo Recovery and resilience facility (Pnrr), alcune dedicate alla progettualità e alle riqualificazioni in agenda, molte invece alle tante difficoltà che mettono in dubbio la capacità italica di spendere gli oltre 200 miliardi di euro erogati dall’Europa, di cui 68,9 euro rubricati quali sovvenzioni e 122,6 euro concessi in prestito (oltre a un Fondo complementare di circa 30 miliardi). In sintesi, una pioggia di soldi di cui alcuni da restituire e altri no, ma innanzitutto una miriade di futuri cantieri in ogni angolo della Penisola.
Sarà certamente curioso, quanto devastante, assistere nei prossimi anni alle inchieste sull’uso improprio di buona parte dei miliardi conferiti da Bruxelles, così come oggi è imbarazzante leggere di progettazioni mai iniziate e di soldi inviati da una parte all’altra della Regione, con la speranza che qualche istituzione prima o poi li spenda. L’impressione è quella di un Paese che sta perdendo l’ennesima occasione per dare una svolta a settori come il turismo, il patrimonio culturale, l’economia e la sanità.
I tempi di realizzazione dei progetti di resilienza sono comunque decisamente stretti, L’Italia inoltre, già al nastro di partenza, non ha dato prova di una buona prestazione (malgrado alla guida del Governo ci fosse all’epoca “l’infallibile” Draghi), e lo spazio per costruire percorsi di progettazione partecipata è sempre più stretto. Il Pnrr sembra allora destinato a passare sulla testa di tutti, specialmente di coloro che diventano vittime della sua stessa realizzazione.
Gli esempi di esclusione del confronto con i cittadini da parte degli enti pubblici purtroppo non mancano, come insegna la cosiddetta riqualificazione del Parco del Meisino. Lo stesso atteggiamento di autoreferenzialità istituzionale sembra colpire ora il Borgo Medioevale di Torino: un luogo suggestivo (copia fine ottocentesca di alcuni castelli piemontesi e valdostani), nonché meta di migliaia di visitatori ogni anno. Il villaggio ospita anche alcune caratteristiche botteghe-laboratorio in cui fabbri e mastri librai lavorano utilizzando metodi antichi: artigiani che, tra l’altro, dimorano in quei curiosi palazzi dalle facciate quattrocentesche.
L’intervento di valorizzazione, infatti, prevede la chiusura per almeno tre anni del bene monumentale: due cantieri (uno che interverrà sui tetti e l’altro invece su alcuni edifici da riassegnare in seguito) andranno a interessare buona parte della sua superficie. In sintesi, il Castello medioevale del Valentino non sarà visitabile per un lungo lasso di tempo, con buona pace di coloro che lavorano nelle botteghe e che vivono al suo interno.
Durante un recente sopralluogo al Borgo, convocato dalle Commissioni consiliari competenti di Palazzo Civico, è stato illustrato il progetto di massima, ribadendo la necessità di sbarrare il complesso già dal prossimo mese di marzo. Al fine di giustificare tale scelta, un consigliere ha fatto appello all’interesse generale che, secondo l’oratore, avrebbe la meglio su quello particolare dell’individuo. Un’affermazione, la sua, condivisibile quando il sacrificio del singolo è a vantaggio di un servizio essenziale, o necessario per migliorare la qualità della vita della comunità, ma profondamente errata nel caso in essere (al contrario, l’azione amministrativa deve rispettare il principio di minor danno per i destinatari).
Una chiusura così lunga colpisce la “memoria collettiva”, le belle abitudini, le passeggiate domenicali di tanti torinesi. Si profila all’orizzonte un danno al patrimonio storico, come già in passato accadde all’armeria Reale (sopravvissuta faticosamente a un cantiere interminabile che ne provocò la chiusura per quasi un decennio), oltre a una vera e propria messa in strada di chi ha realizzato le botteghe all’ombra del Castello.
Alcuni interventi di recupero che riguardano complessi architettonici storici vengono realizzati consentendo le “aperture al pubblico”, poiché diventano occasione per osservare le tecniche di restauro. Nel caso del Borgo Medioevale invece si è deciso di blindare il complesso, di mettere una staccionata e tenere lontani tutti per “Lavori in corso”.
Il Pnrr è un piano di resistenza, secondo le intenzioni del Parlamento europeo, da attuare con i cittadini e non contro di loro. L’arrivo di tanti soldi avrebbe dovuto permettere di rinnovare il Paese sugellando l’alleanza tra istituzioni e territorio. Obiettivi, questi ultimi, traditi ogni qualvolta si ignorano richieste legittime provenienti dalla popolazione, e si respingono appelli nel nome di un immaginario “interesse generale”.
L’impressione è che saranno i cittadini a dover resistere contro una deriva decisionistica che trascina la classe politica negli abissi di un assolutismo quasi feudale (tanto per restare in tema).