Torino non la pianta
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 28 Settembre 2023
Torino non riesce proprio a trovare la sua dimensione esistenziale. La città, dopo la fine dell’epoca Fiat, sembra brancolare nel buio, svelando una grande fragilità e tratti di schizofrenia.
Il capoluogo piemontese, infatti, anela a una vocazione turistica, puntando sui ricchi musei e i palazzi del centro storico sabaudo, ma contemporaneamente si candida a diventare la capitale dell’industria tecnologico-militare. Una drammatica confusione di intenti che si rivela a chiunque passeggi tra i rioni e le piazze dell’antica città dei quattro fiumi. Un senso di abbandono e di trascuratezza segna i percorsi che dovrebbero condurre i visitatori alle bellezze torinesi, mentre le periferie si preparano a subire una trasformazione sul modello di Los Angeles. Ricchi ed esclusivi edifici si contrappongono a vaste aree urbane in cui la scomparsa della fabbrica automobilistica ha lasciato tante ferite aperte, e poche speranze: aree, queste ultime, dove il disagio giovanile trova un terreno fertile per crescere vigorosamente ed espandersi.
Sino a qualche tempo fa, il verde pubblico era uno dei punti di forza della Torino a misura d’uomo. I corsi alberati davano vita a una sorta di foresta cittadina che si univa a quella dei parchi, ovunque caratterizzati da robuste essenze arboree. Un’immagine che appartiene purtroppo al passato, poiché la metropoli subalpina è stata reinventata, o meglio modernizzata, tramite la creazione di enormi spianate di pietra chiamate “piazze” (come esige la progettazione delle archistar internazionali) ed estirpando alberi ovunque.
Le piante abbattute in questi ultimi mesi sono circa tremila; per rendersene conto è sufficiente gironzolare in un giardinetto circoscrizionale. Ovunque si osservano cataste di tronchi e rami, molti di questi con le foglie ancora attaccate, oltre a tappeti erbosi segnati da una miriade di ceppi, ossia quanto rimane di interi filari di alberi. Entrando in un parco pubblico è impossibile ignorare questi ingombranti monumenti alla devastazione, come è inevitabile inciampare sui miseri resti di ciò che un tempo era un poderoso arbusto. Piante lussureggianti, fautrici di ombra nelle giornate afose d’estate, che venivano scelte quale luogo di nidificazione da molte specie di volatili, e come rifugio sicuro dagli scoiattoli.
Nelle aree verdi di dimensioni ridotte, quelle ricavate tra i piccoli spazi che separano condomini urbani, la motosega ha lasciato un’impronta degna del passaggio di Attila. Nel giardinetto di via San Remo (giardino Montù) a Mirafiori Nord, ad esempio, la visione per chi vi transita è agghiacciante: diciassette alberi abbattuti in pochissimo tempo.
La colpa, secondo l’amministrazione di Palazzo Civico, è della siccità che l’anno scorso ha interessato il Piemonte. Un evento meteorologico estremo che purtroppo ha dei precedenti nel passato. Fosse stata dedicata un po' di attenzione al patrimonio verde, soprattutto durante l’estate del 2022, oggi non avremmo forse assistito a una tale moria di piante.
La Giunta rassicura di continuo i torinesi annunciando la piantumazione di altrettante essenze arboree, in numero uguale a quelle sradicate (anche se non è dato sapere quando), ma ci vorranno comunque molti anni per vederle crescere sino a raggiungere le dimensioni di quelle diventate legna da ardere (a tal proposito viene da chiedersi quale sia stato il destino dell’enorme quantità di tronchi “puliti” dai taglialegna). Il piano di abbattimento forse è stato deciso con eccesso di leggerezza.
Un parco privo di alberi perde anche parte del suo fascino. Nei quartieri periferici un intervento così massiccio è da considerarsi traumatico, poiché colpisce territori già sofferenti. Giardini sempre meno verdi, quindi, e apprezzati ancor più dalle bande che ne fanno la propria sede, e da cui organizzano violente aggressioni contro inermi passanti (come accaduto sabato scorso a un ragazzo che portava a spasso il suo cane). Del resto, come risaputo, il disagio non può che generare altro disagio.
La desolazione delle grandi metropoli statunitensi, con il loro mix di miseria e di benessere esclusivo, sembra essere il futuro riservato alla nuova Torino post operaia. Evidentemente gli studi newyorkesi del Sindaco producono i primi risultati. Essere il primo della classe non è sempre cosa di cui andar fieri.