DA CHIGI ALLA MOLE

Voto regionali e investitura di Cirio, Meloni rinvia il dossier Piemonte

Missione strettamente istituzionale della premier a Torino. Dopo l'intervento al Festival prenderà parte alla seduta straordinaria della Conferenza Stato-Regioni a palazzo Carignano. Poi rientrerà a Roma, rimandando le questioni politiche piemontesi

Profilo rigorosamente istituzionale quello della visita di Giorgia Meloni, stamani a Torino per la conclusione del Festival delle Regioni. Nessuna concessione alla politica politicante che, nel Piemonte che s’approssima al voto regionale, si sarebbe tradotta sostanzialmente in due fatti – entrambi in attesa di formale decisione – ovvero l’investitura a (ri)candidato presidente di Alberto Cirio e l’anticipo a marzo, rispetto al previsto election day con le europee, delle consultazioni nelle quattro Regioni chiamate alle urne.

Per avere l’imprimatur della premier, in quel caso come leader di Fratelli d’Italia, sulla seconda discesa in campo dell’attuale governatore, così come per sciogliere definitivamente il nodo sul voto anticipato, occorrerà attendere. La scelta del Presidente del Consiglio in merito alla sua giornata torinese che segue quella del Capo dello Stato Sergio Mattarella da cui ieri sono arrivati precisi e, in un certo qual modo, duri moniti alla premier su Sanità ed Europa, è quella di non mescolare né temi, né ruoli.

Da quando, poco prima di mezzogiorno, scenderà dall’auto davanti al Teatro Carignano dove terrà il suo intervento per poi attraversare la piazza e fare ingresso nel Parlamento Subalpino e aprire la seduta della Conferenza delle Regioni presieduta da Massimiliano Fedriga, fino alla sua ripartenza per Roma non sono previsti spazi “politici”, tantomeno di partito. Le anticipazioni dell’agenda in cui non sono stati riservati spazi “a latere” sono arrivate con debito anticipo ai piani alti della Regione, così come ai vertici regionali di FdI e degli alleati. La decisione di tenere la sua visita torinese separata dalla contingenza politica legata alla prossima tornata elettorale, non equivale affatto a segnalare difficoltà di percorso. 

Nonostante alcune letture un po' affrettate, secondo cui starebbe scemando l’ipotesi di mandare non a giugno bensì a marzo al voto SardegnaAbruzzoBasilicata e lo stesso Piemonte, la questione continua ad essere sul tavolo del centrodestra (che esprime tutti gli attuali quattro governatori) con la stessa intenzione da parte di Meloni di chiudere in tal senso la questione, nonostante alcune difficoltà tecniche a partire dal fatto che la legge elettorale del Piemonte prevede l'election day e la norma nazionale dice che le urne si possono aprire quattro settimane prima o dopo quelle di cinque anni fa (26 maggio). 

Non ci sono segnali di ripensamenti a livello romano, mentre cresce il fronte contrario soprattutto in Piemonte: la Lega è contraria (anche se Riccardo Molinari ha assicurato una posizione in sintonia con Cirio), altrettanto maldisposta Forza Italia alle prese con la propria sopravvivenza. Si vedrà al tavolo nazionale.

Fin dall’inizio il governatore ha tenuto un profilo basso sulla questione, spiegando che per lui non farebbe alcuna differenza votare a marzo piuttosto che a giugno e viceversa, anche se non sfugge l’ulteriore vantaggio nei confronti del centrosinistra (oggi più di ieri travagliato su candidature esplicite o ventilate) che gli deriverebbe dall’anticipo. Rinviato, a dispetto di attese e pronostici circolate negli ultimi mesi, pure l’annuncio sia pure non proprio ufficiale della sua ricandidatura da parte della Meloni. Ma anche quella parola pare non si udirà. Il padrone di casa del Festival delle Regioni, per la cui investitura da parte della premier molti indicavano proprio questa cornice, dovrà attendere ancora. Solo questioni di tempi. A stabilire quelli giusti sarà, comunque, lei.

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