ECONOMIA DOMESTICA

Benvenuti al Sud, più pensionati che lavoratori

A livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno, ma nel Mezzogiorno il sorpasso è già avvenuto. Le cause sono denatalità, invecchiamento e irregolari. Per invertire il trend ci vorrebbe un miracolo ma potremmo iniziare con interventi concreti

Benvenuti al Sud, dove ci sono più pensionati che lavoratori. Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno, nel Mezzogiorno, invece, il sorpasso è già avvenuto. Mentre in Italia il primo è pari a 22.772.000 e il secondo ammonta a 23.099.000, nelle regioni del Sud e delle Isole le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori, sottolinea la Cgia, sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare.

Nei prossimi 5 anni, precisa la Cgia, quasi il 12% degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “sostituire” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori. Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone.

A livello provinciale nel 2022 la realtà territoriale più virtuosa d’Italia è stata Milano (saldo dato dalla differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati uguale a +342mila). Seguono Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77mila). Male, come richiamato più sopra, i risultati delle province del Mezzogiorno. Tra tutte, solo Cagliari (+10mila) e Ragusa (+9mila), presentano un saldo positivo. Le situazioni più squilibrate, invece, riguardano Palermo (-74 mila), Reggio Calabria (-85mila), Messina (-87mila), Napoli (-92mila) e Lecce (-97mila).

Per riequilibrare il sistema, soluzioni miracolistiche non ce ne sono, sottolinea la Cgia, e ancorché fossero disponibili, i risultati li avremmo non prima di 20-25 anni. Tuttavia, con sempre meno giovani e sempre più pensionati, il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale. Innanzitutto, portando a galla una buona parte dei lavoratori “invisibili” presenti nel Paese. Si tratta di coloro che svolgono un’attività in nero: secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone.

Per far fronte a questa situazione è anche necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che l’Italia è il fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50%). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, ecc.) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno delle persone che svolgono un'attività impiegatizia o intellettuale). Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’Ue. Se non si faranno dei correttivi in tempi relativamente brevi per la Cgia fra qualche decennio la sanità e la previdenza rischiano di implodere.

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