SACRO & PROFANO

Il Giubileo "grazia" mons. Brambilla. Proroga in vista anche per Cerrato

Resteranno ancora almeno per un anno alla guida delle rispettive diocesi, gli ultra settantacinquenni vescovi di Novara e Ivrea. Le Settimane Sociali dei cattolici a senso unico. Madonna seminuda e con la kefiah. Il balletto al santuario - VIDEO

Sembra sempre più probabile – anzi, per alcuni certo – che il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, che il 30 giugno scorso ha compiuto settantacinque anni, sarà prorogato almeno per un anno al fine di consentirgli di presiedere le celebrazioni del Giubileo del 2025. Stessa sorte dovrebbe toccare al vescovo di Ivrea, monsignor Edoardo Aldo Cerrato, che compirà gli anni ad ottobre. Quest’ultimo ha ricevuto in questi giorni la visita del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, invitato per la festa di San Savino, patrono della diocesi. All’evento ha partecipato anche il mellifuo presidente della Cep, la Conferenza episcopale piemontese, monsignor Franco Lovignana, vescovo di Aosta.

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Come avevamo riferito, trattando del linguaggio astruso del documento preparatorio, si è aperta e chiusa a Trieste la Settimana sociale dei cattolici italiani sul tema della democrazia. I relatori appartengono tutti ad un’unica area politica, quella del Pd, tant’è che gli eventi preparatori sono stati coordinati in sede nazionale da esponenti di quel partito e programmati in sede locale dal vescovo della città adriatica, monsignor Enrico Trevisi che sul tema della Dottrina sociale della Chiesa si distanzia – e di molto – dal suo predecessore, monsignor Giampaolo Crepaldi, che aveva fatto di tutto per rilanciarla e alla quale invece in questi giorni a Trieste non si fanno che dei generici riferimenti. Anche il presidente Sergio Mattarella, cattolico dossettiano, nel suo ispirato discorso di idealizzazione e assolutizzazione della democrazia (che è invece soprattutto un metodo, difettoso finché vogliamo, ma l’unico atto a garantire la convivenza civile) non è però riuscito a dire su cosa essa si fondi, se non nel solito richiamo a «camminare insieme», dove non conta la meta e il fondamento. Quindi attenzione ai «beni superiori» perché anch’essi devono essere decisi democraticamente e quindi dalla maggioranza. La democrazia si fonderebbe perciò su sé stessa e nulla la può precedere. Ma se per un politico laico questa visione è pienamente comprensibile, molto meno lo è per chi si professa cattolico, anche se rivestito della più alta magistratura. Ancor meno comprensibile lo è per dei pastori che dovrebbero richiamarsi in materia al ricco Magistero della Chiesa. Invece a Trieste è come se Leone XIII o San Giovanni Paolo II non avessero più nulla da dire. La verità è che queste posizioni hanno come sempre alle spalle una teologia, che è quella della «svolta antropologica», dove non si parte più da Dio ma dall’uomo.

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Massimo Faggioli, docente negli Stati Uniti e storico progressista della Scuola di Bologna, allievo di Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, ha scritto su Croix International che «il ritorno di un cattolicesimo tradizionale esiste, e in modi diversi, non solo negli Usa. È un dato di fatto, e prima smettiamo di negarlo, meglio è. La domanda è come interpretarlo e relazionarsi con esso». Finora la risposta della Chiesa ufficiale è stata quella di ignorare completamente il fenomeno, ridicolizzandolo e archiviando il tutto come una moda e una nostalgia di «pizzi e merletti» senza alcuno vero sforzo di comprenderne le ragioni. Ma l’errore di fondo – e Faggioli lo rileva – è quello di sovrapporre conservatorismo e tradizionalismo, che però non sono la stessa cosa. Giovanni Paolo II era sicuramente un conservatore, ma non un tradizionalista e gli eredi di monsignor Marcel Lefebvre possono confermarlo. Un dilemma, quello fra le due anime del cattolicesimo, che si pretendeva superato e liquidato nell’indifferenza o rubricato come fenomeno passatista, invece ritorna sempre più insistente. La domanda che si pone lo studioso, specialmente quando dal più alto Seggio si proclama il todos, todos, todos, è appunto quella di trovare un sistema di equilibrio e convivenza. Il punto però, lo si voglia o no, è sempre quello del Concilio Vaticano II e della sua interpretazione. Benedetto XVI, nel suo famoso discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia romana, aveva indicato la soluzione, ma non fu seguito e osteggiato in tutti i modi. E – particolare significativo – da ambo le parti.

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Un comunicato del Dicastero per la Dottrina della fede ha annunciato che monsignor Carlo Maria Viganò è incorso nella scomunica latae sententiae e non poteva essere diversamente, vista la gravità degli addebiti contestati come, fra gli altri, oltre allo scisma, il disconoscimento della legittimità dell’elezione di Francesco e il rifiuto del Concilio Vaticano II. Anche il papa della misericordia ha dunque dovuto usare la «medicina del rigore» della più grave pena prevista dall’ordinamento della Chiesa. Lo aveva già fatto nel 2020 nei confronti del gesuita sloveno e artista di fama mondiale, i cui mosaici decorano le chiese di tutto il mondo, Marko Ivan Rupnik, accusato del reato di aver confessato, assolto e vincolato al silenzio, una suora abusata. Di tale grave provvedimento, nulla era trapelato fino a quando nel 2022 emersero, a carico del religioso, altri reati di abusi plurimi e in tale occasione si venne sapere che il papa, dopo poche settimane, gli aveva tolto la scomunica.

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Ad un lettore che si lamentava del fatto che il settimanale diocesano di Torino fosse diventato un organo della sinistra, il direttore, dopo aver difeso la linea equilibrata del suo giornale, ha risposto che oggi la posta in gioco in Italia e in Europa è la pace e di non comprendere una scelta di destra. Forse perché, verrebbe da dire, l’attuale sinistra, nelle sue varie accezioni e con diverse sfumature, sostiene: l’aborto libero, l’eutanasia, la fecondazione eterologa, le adozioni gay, l’utero in affitto, i matrimoni gay, il divorzio lampo, la riduzione dell’obiezione di coscienza, il finanziamento ai centri sociali, la liberalizzazione delle droghe, l’eugenetica.  Per un cattolico, pur senza farsi alcuna illusione nei confronti della destra, non potrebbero essere queste delle ragioni sufficienti? Persino don Filippo Di Giacomo ha preso atto, sul Venerdì di Repubblica, che molti elettori hanno voluto punire «l’ossessione da Grande Fratello di Bruxelles per i ripetuti tentativi di far tacere il dissenso (bollato come conservazione), motivato da ragioni etiche in materia di vita, famiglia, educazione. La Prova? Il successo elettorale di tutti i firmatari del Manifesto pro Vita e Famiglia. E il flop quasi totale dei cattolici piddì sostenuti dai vescovi».

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In Francia, il quotidiano cattolico La Croix ha pubblicato un dato indicativo della presa di distanza dell’elettorato da una Chiesa ritenuta troppo progressista. Nonostante gli appelli dei vescovi a votare per candidati che «sostengono il progetto comunitario», alle elezioni europee il 32 per cento dei cattolici praticanti ha votato per il Rassemblement National di Marine Le Pen. Cinque anni fa erano il 14 per cento. Non solo: calcolando anche i voti andati a Reconquête, la formazione di Éric Zemmour, si arriva al 42 per cento di cattolici che hanno scelto le formazioni di destra.

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Traditores Custodes

Mentre contro la Messa antica si sta scatenando ogni tipo di vessazione – è di ieri a notizia che è stata proibita da Roma la celebrazione della Messa al santuario mariano di Covadonga (Oviedo) a conclusione del pellegrinaggio che per il quarto anno consecutivo vedrà affluire centinaia di giovani – continuano, con l’assenso delle autorità ecclesiastiche, gli abusi e le profanazioni. Nel santuario mariano di Coromoto in Venezuela il vescovo diocesano nominato nel 2023 da papa Francesco, monsignor Owaldo Enrique Araque Valero, ha guidato davanti all’altare con il Santissimo Sacramento esposto un ballo scatenato al quale ha partecipato, in un clima da balera, entusiasta e gioiosa, anche «l’Assemblea celebrante». Persino Derio da Pinerolo, a parte l’omissione del Credo, non era giunto a tanto.

Dai ritmi sudamericani del Venezuela a quello che rimane della cattolica Austria. Nella cattedrale di Linz, dove è vescovo monsignor Manfred Scheuer, uno dei più importanti “curatori fallimentari” della Chiesa austriaca, è stata posta, a significare «l’inclusione», una scultura che mostra la Madonna seminuda con le gambe mascoline aperte che sta per partorire. Pare che un fedele, contrariato dalla scultura e molto «indietrista», l’abbia colpita e semidistrutta suscitando le ire del vescovo che l’ha fatta rimettere al suo posto emettendo poi un comunicato di deplorazione in cui si afferma che l’opera esposta mostra la Madonna che partorisce «da una prospettiva femminista».

Molto più moderato e sobrio padre James Martin, gesuita pupillo di papa Francesco, che in una chiesa dell’Ohio ha vestito la Madonna con la kefiah e con la bandiera arcobaleno. Ancora più politcally correct il vescovo di Coutances in Francia, monsignor Grégoire Cador, che ha ospitato nella cattedrale di Notre-Dame un concerto dove è stata eseguita una Mass for Peace in cui è risuonato l’adhān, il richiamo islamico alla preghiera. Il presule si è poi congratulato con gli organizzatori per «non aver ceduto agli oscurantisti» di coloro che, come minimo, avevano manifestato qualche perplessità.

Il cardinale Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha raccontato di una conversazione avuta con un alto esponente del Dicastero del Culto Divino dicendogli della lieta sorpresa di aver veduto più di 20.000 giovani provenienti da tutta l’Europa per l’annuale pellegrinaggio da Parigi a Chartres e di aver avuto la grazia di celebrare la Messa, il lunedì di Pentecoste, nella meravigliosa cattedrale. A tali parole, il burocrate curiale si è adombrato affermando che non c’era nulla da gioire perché la Messa era stata celebrata secondo l’antico rito latino, quello, per intenderci di S. Ignazio di Loyola, di San Giovanni Bosco e di uno stuolo di santi. Meglio sarebbe stato, non celebrare affatto. Al di là di ogni altra valutazione di tipo teologico, liturgico etc. l’episodio dice che, a differenza dei loro predecessori, vescovi del post- Concilio, oggi a costoro le anime non interessano più, conta solo l’ideologia. Che migliaia di giovani si radunino per pregare non interessa, anzi li rattrista. Eppure, Ubi enim sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum (Mt 18, 20). Ancor più dovrebbero essere contenti che abbiano partecipato alla Messa, invece si dispiacciono. Siamo, per rimanere nel Vangelo di Matteo, ai «ciechi che guidano altri ciechi» ( Mt 15,14) ma la loro fine è nota: ambo in foveam cadunt.

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