Istituzioni dal cattivo esempio

Durante una riunione istituzionale (avvenuta in un luogo reale seppur qui non ben definito), un componente dell’assemblea lascia il suo posto e inizia a passeggiare intorno a quello occupato da una sua collega. Le si avvicina e inizia a farle apprezzamenti sull’abito indossato, sottolineando che è molto provocante. A nulla valgono le ferme repliche della donna, che tra le altre cose fa notare all’uomo i 35 gradi della temperatura esterna (per cui normale non indossare un pastrano di lana), poiché lui non molla la presa e ribadisce quella che ritiene essere una certezza assoluta: “Qui abbiamo l’aria condizionata, non fa caldo, ti sei vestita così per me”.

Questo è solamente uno dei tanti episodi di allusioni sessuali subite da alcune consigliere appartenenti a quell’organo elettivo, come in seguito è stato riportato dai media: avance esplicite, fortemente fastidiose ed espresse addirittura in una sede istituzionale. Alcuni degli uomini che hanno assistito agli sconvenienti approcci sembra abbiano ritenuto utile, forse pensando di alleggerire il clima in aula, fare qualche “simpatica” battuta sessista alla vittima di turno, guardandosi però dal riprendere con forza gli autori di quegli indegni atti.

In seguito a quest’ultimo episodio, le donne, decidendo di non tacere, hanno redatto un appello rivolto al presidente dell’assemblea consiliare in cui, senza specifiche accuse, denunciano l’accaduto ed evidenziano al contempo come atteggiamenti maschilisti si manifestino anche attraverso commenti svilenti la loro capacità intellettiva, oltre che tramite le osservazioni indecorose sull’abbigliamento. L’appello è un atto politico, un grido di dolore trasformato nella richiesta di poter partecipare ai lavori assembleari con la stressa dignità, e gli stessi diritti, degli uomini (liberi di recarsi in aula indossando inopportuni - per una sede istituzionale - pantaloncini corti): dichiarazione non immaginata quale prologo alla gogna mediatica.

Le reazioni che seguono all’appello, letto durante una recentissima seduta consigliare, sono davvero sorprendenti. Non mancano le dimostrazioni di solidarietà da parte di eletti e di tanti cittadini, ma spiccano con maggiore forza le esternazioni preoccupate di taluni consiglieri (non tutti): uomini poco indignati per quanto accaduto alle colleghe, ma inverosimilmente preoccupati per le conseguenze, ossia per le ricadute negative che l’atto di denuncia potrebbe provocare nel rapporto con i loro datori di lavoro. Il panico cresce tra costoro, sino a far ribadire stizzosamente da qualcuno che “i panni sporchi è sempre meglio lavarli in famiglia”.

Un inconsapevole invito all’omertà che contagia pure le reazioni di qualche cittadino (in particolar modo donne), pronto a condannare le consigliere definendole parte di una cospirazione costruita per danneggiare la maggioranza. Non solo, altri gettano fango sulle vittime, definendole “vuote”, “marionette nella mani di qualche uomo”, insinuando inoltre che esse siano in malafede e disponibili a una lampante strumentalizzazione politica. Accuse vergognose, taglienti quasi come le proposte esplicite subite in aula, pronunciate per difendere pubblicamente, e a spada tratta, un consigliere che grida al “complotto”, oppure una parte politica già in profonda crisi.

L’appello portato all’attenzione pubblica dai media, a scapito della volontà stessa di chi lo ha sottoscritto, ha fatto emergere molto più della situazione che lo ha prodotto, poiché ha mostrato innanzitutto un Re nudo: una società che è davvero lo specchio della classe politica che esprime con il voto (salvo rare eccezioni). Le agghiaccianti ipotesi di “cospirazione”, ritraenti donne in balia di volontà maschili, sono la dimostrazione tangibile di un grave depauperamento culturale; di una povertà particolarmente pericolosa per la sopravvivenza di quei diritti fondamentali conquistati negli anni delle grandi lotte sociali di massa.

Il 25 novembre si celebrerà l'International Day for the Elimination of Violence against Women (Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne), e nelle varie assemblee elettive si terranno discorsi ufficiali mentre, probabilmente, si vernicerà una panchina di rosso: un inutile esercizio di retorica se questa coltre di ipocrisia non verrà rimossa una volta per tutte. 

Fino a quando ci sarà un solo consigliere che riterrà preferibile “lavare i panni sporchi in famiglia” per non aver problemi al lavoro, anziché denunciare le vessazioni subite dalle colleghe, l’obiettivo di porre fine alla violenza contro le donne rimarrà un’utopia di difficile realizzazione. 

Le istituzioni dovrebbero essere da esempio per i cittadini, per la società che pretendono di governare, e non luoghi in cui si imitano maldestramente gli usi in voga negli ambienti culturalmente più arretrati della città (reale, seppur qui posta in un luogo indefinito).

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