Cattolici, non gregari
Giorgio Merlo 15:29 Lunedì 05 Agosto 2024
Dalla “Settimana sociale” dei cattolici a Trieste è partito un invito forte e autorevole. E cioè, i cattolici devono ritornare protagonisti nella vita pubblica italiana. O meglio, devono “partecipare” e non solo “parteggiare”. Un invito autorevole perché, prima il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente della Cei Matteo Zuppi e poi con Papa Francesco, si sono sottolineate le ragioni della necessità che i cattolici ritornino all’impegno pubblico, e quindi alla dimensione politica. Certo, molte cose sono cambiate rispetto al passato. E non solo rispetto all’esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana, ma anche con i partiti che sono succeduti alla Dc: dal Ppi al Ccd, dalla Margherita all’Udc. Partiti più o meno identitari che hanno contribuito comunque sia, con modalità e approcci diversi, a declinare la cultura popolare e cattolico sociale nella cittadella politica italiana.
Ora, se è vero che da un lato si percepisce la volontà e la domanda di un rinnovato protagonismo politico dei cattolici, anche se non si tratta di un fenomeno di massa, è altrettanto vero che questo impegno va canalizzato politicamente. Ovvero, per essere credibile e realista, si deve tradurre nella costruzione di un progetto politico di medio/lungo periodo. E pure rispettando sino in fondo le svariate scelte dei singoli, non si può non convenire che c’è uno spazio politico e culturale che ha sempre visto i cattolici italiani protagonisti, seppur nelle sue diverse e multiformi espressioni. E questo spazio è la costruzione di quella che un tempo i cattolici democratici, popolari e sociali chiamavano semplicemente “la politica di centro”. E cioè, un progetto di centro, riformista, moderato e, soprattutto, di governo, lontano dal radicalismo e dal massimalismo. Tanto di destra quanto di sinistra. E quindi non un atteggiamento banalmente equidistante o terzo, ma un progetto politico - e di società, come si chiamava un tempo - che sia in grado di coinvolgere il più ampio numero di persone partendo dalla cultura, dalla tradizione e dal pensiero del cattolicesimo popolare e sociale.
Dopodiché, sono talmente rapide e tumultuose le dinamiche politiche contemporanee che non è affatto facile riuscire a ritagliare uno spazio di ascolto e di rappresentanza vera per la cultura che può declinare un pezzo dell’area cattolica italiana. Certo, è risaputo che il pluralismo politico ed elettorale dei cattolici è ormai un fatto largamente acquisito e consolidato. Ma è altrettanto indubbio che l’eccessiva frantumazione politica dei cattolici - la cosiddetta diaspora - non genera maggior protagonismo ma solo, come l’esperienza concreta dimostra, una dispersione culturale e una progressiva irrilevanza politica. E non è un caso che, per fare un solo esempio, abbia ripreso quota e credibilità l’esperienza che negli anni ‘70 era meglio conosciuta come quella dei “cattolici indipendenti di sinistra”. Cioè personalità cattoliche che venivano candidati nelle liste del Pci solo per confermare la natura plurale di quel partito. Con la sostanziale incapacità/impossibilità, però, di poter condizionare il progetto politico del partito dell’epoca, cioè il Pd. Ecco perché, oggi, il compito dei cattolici democratici, popolari e sociali resta quello principalmente di qualificarsi sul terreno politico/progettuale più che non su quello identitario. E il versante più congeniale, appunto, resta quello di saper declinare un nuovo e rinnovato Centro. Che poi, come ovvio e persino scontato, va collocato politicamente in un’alleanza, tenendo conto del sistema elettorale da un lato e della miglior convergenza programmatica dall’altro.