SANITĂ€

Visite a pagamento fuori controllo.
Città della Salute bocciata dal Mef

Lungo elenco di irregolaritĂ  riscontrate dagli ispettori del ministero nella principale azienda ospedaliera del Piemonte. Molte carenze sui controlli dell'intramoenia. Mancato rispetto del piano regionale sulle liste d'attesa. E si accettano pure pagamenti in contanti

Mancata adozione di un piano per la libera professione in regime di intramoenia, assenza di idonei strumenti di monitoraggio e controllo della stessa, mancata sottoscrizione delle convenzioni con le strutture private dove viene svolta la libera professione da parte dei medici, non conformità delle agende di prenotazione rispetto a quanto previsto dal piano regionale per il recupero delle liste d’attesa. È questa solo una piccola, ma già pesante, parte del lungo elenco delle irregolarità di maggior rilievo riscontrate dal Mef alla Città della Salute di Torino nel corso della verifica amministrativo-contabile effettuata da funzionari del ministero dal 9 marzo al 24 aprile. 

Proprio nei primi mesi dell’anno una lettera del Ragioniere capo dello Stato Biagio Mazzotta (il quale ha appena lasciato l’incarico sostituito da Daria Perrotta) comunicava la decisione di attivare il Servizio Ispettivo della Finanza Pubblica e di aver “disposto l’esecuzione da parte di un dirigente dell’Ispettorato Generale di una verifica amministrativo-contabile” nei confronti dell’azienda diretta da Giovanni La Valle con esplicito riferimento all’intramoenia, ovvero alle norme che regolano la possibilità per i medici ospedalieri di esercitare la libera professione all’interno della struttura pubblica.

Più di un mese di lavoro da parte degli ispettori ministeriali, con lo spulcio e l’acquisizione di una mole di documentazione ha portato a quelli che per lo stesso ministero retto da Giancarlo Giorgetti sono irregolarità e come tali comporteranno una serie di conseguenze. Una relazione in cui le inadempienze o atti ritenuti non corretti, la loro disamina e i riferimenti alle norme violate occupano oltre sessanta pagine, Come anticipato dalla lettera di Mazzotta, l’ispezione è stata concentrata sulla gestione dell’attività in regime di intramoenia, ovvero la libera professione esercitata dai medici ospedalieri che per legge dovrebbe essere svolta entro le mura dell’ospedale, ma in realtà allargando a dismisura le maglie di una deroga vede sempre più i camici bianchi lavorare all’esterno, in studi e strutture private.

Inoltre, la diffusa assenza del rispetto dell’equilibrio tra il numero di prestazioni erogate, dallo stesso medico, in regime di servizio sanitario quindi pagando eventualmente solo il ticket e quelle fornite a pagamento è tra le concause dei tempi lunghi o lunghissimi che ancora connotano le liste d’attesa. Proprio quella che è la più grave patologia del sistema sanitario italiano ha indotto il Governo e nel caso specifico il Mef a disporre una serie di verifiche e controlli, come quello che in Piemonte ha portato alla luce una situazione a dir poco preoccupante nella più grande azienda ospedaliera della regione e tra le maggiori del Paese. Dunque, secondo quanto rilevato dagli ispettori nelle settimane di permanenza in corso Bramante e in quelle di analisi successive, al vertice di Città della Salute viene addebitata la mancata adozione del piano aziendale per la libera professione intramuraria come previsto dal secondo comma del Dpmc 27 del 2000 e da altre norme addirittura precedenti. 

È stata riscontrata, poi, la mancata adozione di idonei strumenti di monitoraggio e controllo dell’attività in intramoenia, necessari anche per valutare gli orari di lavoro dedicati all’effettiva erogazione delle prestazioni. Un aspetto molto importante, questo, che stando alle risultanze della verifica confermerebbero quelle falle che da anni caratterizzano la gestione di questa tipologia di lavoro per cui si chiede ai pazienti di mettere mano al portafoglio, scelta sempre più obbligata proprio per via dei tempi inaccettabili di attesa. 

Altra questione, vera e propria distorsione della norma introdotta oltre vent’anni fa per compensare gli stipendi dei medici senza intaccare le casse dello Stato, ma costringendo sempre più cittadini a farlo con le proprie, è quella del rapporto tra medici e strutture private dove esercitare l’intramoenia, solo nel caso in cui nell’ospedale non ci siano spazi strutture adeguate. Ebbene, dalla verifica a Città della Salute emergono mancate sottoscrizioni delle convenzioni con le strutture private, ma in alcuni casi anche tra la stessa azienda ospedaliera e il medico per lo svolgimento della libera professione nello studio privato, come previsto dalla delibera regionale del 2013, così come anche da altre norme.

Dal ministero viene poi sottolineata la necessità di indicare e declinare nei budget individuali per i singoli medici i volumi di attività libero professionale previsti dalla normativa. Pare insomma che il numero delle prestazioni in intramoenia non fosse proprio perfettamente stabilito e, anche questo, non farebbe che confermare una gestione a dir poco migliorabile, per usare un eufemismo. Sulla stessa linea l’esigenza, indicata sempre dal Mef, di monitorare lo svolgimento dell’attività in intramoenia per le prestazioni non erogate in regime istituzionale. In una delle tante pagine della relazione c’è un passaggio che richiama all’esigenza, evidentemente non sempre rispettata, di tenere costantemente aggiornato il piano delle autorizzazioni rilasciate ai medici per esercitare anche in intramoenia e consentire il monitoraggio della loro attività.

Un capitolo in più riguarda l’altra nota dolente delle liste d’attesa, ovvero le prenotazioni. Nella relazione viene evidenziata ma mancata conformità delle agende della Città della Salute rispetto a quanto disposto dal piano regionale per il recupero delle liste d’attesa. E sempre per quanto concerne le agende, c’è l’esigenza di adeguare e aggiornare il sistema informatico al fine di non tenere bloccate o chiuse le agende stesse, cosa peraltro vietata dalla legge. 

Prevedibile, alla luce delle polemiche e dei contenziosi tuttora in corso, una parte della verifica dedicata al mancato accantonamento del cosiddetto Fondo Balduzzi fino al 2022, ma anche l’utilizzo parziale delle risorse del fondo di perequazione e la richiamata esigenza di impostare, da parte dei vertici aziendali, una corretta base di calcolo sulla quale applicare la percentuale del 5% destinata allo stesso fondo di perequazione. 

Ma, tra quelle che sono a detta del Mef solo per maggiori tra le criticità riscontrate, c’è addirittura la violazione del divieto di riscossione o di accettazione di denaro in contanti o altri titoli di pagamento non integrati con il sistema PagoPa, come previsto sia norme dello Stato sia da norme della Regione. E l’elenco di ciò che in base alla verifica alla Città della Salute non va o va come non dovrebbe andare, è ancora lungo. Quasi come le liste d’attesa.

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