SANITÀ

Pronto Soccorso a rischio chiusura.
In Piemonte mancano 300 medici

In Italia solo poco più di 4mila urgentisti. L'appello del ministro ai giovani medici. "Servono riforma serie" ribattono i sindacati. De Iaco (Simeu): "Aprire subito agli specializzandi", ma c'è la resistenza delle Università. La programmazione miope degli anni passati

Sempre più pazienti, sempre meno medici. Se questo rapporto malato della sanità italiana riguarda tutti i suoi settori, quando si ripercuote sui Pronto Soccorso le conseguenze sono ancora più gravi con l’inevitabile è l’effetto domino che si produce in tutti i reparti ospedalieri, dunque su chiunque abbia bisogno di cure. Una programmazione sbagliata o quantomeno miope, norme non adeguate alle attuali necessità, scarsa attrattività di alcune specialità della medicina insieme a una medicina territoriale ancora troppo debole uniti al continuo aumentare degli accessi quella prima linea degli ospedali indebolita da abbandoni e mancati rincalzi fanno avvicinare alla tempesta perfetta.

“Se non ci saranno interventi sostanziali e rapidi andremo inevitabilmente incontro alla chiusura di molti servizi”, prevede Fabio De Iaco, presidente di Simeu, la Società italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza. E assai poche speranze paiono potersi riporre nel forse eccessivamente fiducioso appello lanciato ieri dal ministro della Salute Orazio Schillaci attraverso la campagna tesa a convincere un maggior numero di laureati a intraprendere la specializzazione in Emergenza e Urgenza. Comunque, ben che andasse, bisognerebbe aspettare cinque anni per avere i primi specialisti da inserire nei Pronto Soccorso, mentre la situazione che ormai si protrae da anni, aggravandosi sempre più, richiede altre misure e altri tempi. 

Su oltre 100mila medici del servizio sanitario nazionale gli urgentisti sono appena poco più di 4mila. Ovvio che ne servano, come sostiene il ministro, molti di più. Ma è altrettanto ovvio che non ci si può stupire di questi numeri se si considera che i posti per questa specializzazione istituita nel 2009, per quasi un decennio non hanno superato la cinquantina in tutto il Paese. Nonostante questa scarsità ampiamente prevedibile si sono poste regole sempre pi stringenti che impongono al servizio sanitario di avere questi specialisti e non altri nei Pronto Soccorso, salvo poi saltare a piè pari la legge con l’utilizzo dei gettonisti per i quali va bene qualsiasi specializzazione.

Con un milione e 200mila accessi nel 2023 in più rispetto all’anno precedente, i Pronto Soccorso s’incamminano ancora una volta verso un autunno e un inverno in cui, tra virus influenzali e Covid, si annunciano non meno problematici rispetto a quelli precedenti, anzi. 

In Piemonte dove, come già accennato, si devono fare i conti con un numero insufficiente di medici per il Servizio 118, negli avamposti ospedalieri, come spiega De Iaco allo Spiffero  “mancano 281 medici, pari al 43 per cento di quanto previsto dalle piante organiche”. In che modo colmane, almeno parzialmente questo vuoto che spesso è riempito dai professionisti forniti dalle cooperative? Nell’attesa di poter contare su chi terminerà i corsi di specializzazione, potrebbero essere proprio loro, gli specializzandi, ad essere impiegati più e meglio in quello che sarà il loro futuro luogo di lavoro. “Attualmente gli iscritti alle scuole di Medicina e Urgenza in Piemonte sono 123 medici, di cui 23 al terzo anno, 23 al quarto e 10 al quinto. Se già questi entrassero da domani nei Pronto Soccorso darebbero un grande aiuto”. Ma per il presidente di Simeu non è da escludere a priori anche l’impiego dei medici dei primi due anni, “tenendo conto che ad oggi tutti gli iscritti non basterebbero a coprire le carenze”. 

La questione, tuttavia, non è facilmente risolvibile in ambito regionale se non si cambiano le norme nazionale, passaggio che appare complicato dal rapporto tra ministero della Salute e quello dell’Università da cui, al di là dell’aumento del numero dei posti, continuano ad arrivare segnali di resistenza degli ambienti accademici al “rilascio” degli specializzandi verso gli ospedali. 

Qualche tentativo in Piemonte probabilmente lo si farà con un’interlocuzione tra Regione e Università, cercando spazi tra le pur strette maglie della norma nazionale. Certo le resistenze del mondo accademico, a livello nazionale, appaiono evidenti e non rendono affatto meno difficoltosa una possibile, seppur parziale, soluzione del problema. Basti pensare che fino a poco tempo fa era possibile assumere specializzandi in diverse branche della medicina per impiegarli nel Pronto Soccorso, mentre una modifica della norma voluta proprio dagli atenei oggi restringe questa possibilità solo per i futuri specialisti in Emergenza e Urgenza. Che restano, come detto, sempre pochi anche prevedendo i futuri specialisti. Lo scorso anno accademico delle 945 borse per l’Emergenza Urgenza messe a bando in 37 atenei su tutto il territorio nazionale è stato assegnato solo il 25%, ovvero una su quattro.

Basterà l’appello di Schillaci a intraprendere questa strada “col cuore” come ha detto rivolgendosi ai giovani medici? No, rispondono in coro le maggiori sigle sindacali come Anaao-Assomed, Als e Gmi che sostengono come “l’unico modo è avviare un profondo processo di riforma del percorso di formazione specialistica e che possa finalmente abolire l’utilizzo di gettonisti che costano miliardi alle casse dello Stato. E poi – aggiungono i sindacati che rappresentano i giovani laureati – occorre emarginare quella parte del mondo accademico che da troppi anni si è arroccata nella torre d’avorio di alcune università per la difesa di questo impianto formativo anacronistico e medievale”.

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